I want to feel our precious moments

SEQUEL di *Un nobile intervento* - Storia Originale

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  1. Rinalamisteriosa
     
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    Titolo: I want to feel our precious moments
    Autrice: Rinalamisteriosa
    Protagonisti: Lady Shurei e Xavern (OC che non mi appartengono, ovviamente ^^)
    Prompt di partenza: Bacio


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    Capitolo 1





    Quel bacio intenso, che si stavano scambiando al chiaro di luna, non era lontanamente paragonabile al primo che le era stato rubato.
    Lady Shurei, dopo quella spiacevole esperienza, aveva conosciuto il suo salvatore, il duca Xavern.
    Costretti a congedarsi alla fine della festa, si erano scritti per un mese prima di potersi nuovamente incontrare, contando con ansia i giorni che li separavano.
    Ed eccoli, Xavern e Shurei, a ricercare una confidenza un po' più intima, non prima di aver mantenuto un certo contegno e un distacco cordiale davanti ai loro genitori, ai servitori, ai paesani per un'intera settimana.
    Il primo vero contatto lo stavano vivendo in quel preciso momento, prima non si riservavano più di qualche occhiata attenta, curiosa e delle strette di mano, con al massimo un baciamano da parte di lui.
    Lui, che era così dolce e gentile, ma che quando serviva sapeva essere anche deciso, severo e apprensivo.
    I suoi capelli le ricordavano un mare blu e calmo, mentre i suoi occhi rilucevano più dell’oro, erano grandi e vivaci.
    Aveva dei bei lineamenti, Xavern, che non stonavano affatto. Le labbra, che bramavano le sue, erano morbide, niente affatto screpolate come quelle del vecchio pretendente ormai scomparso, ormai lontano dai suoi pensieri.
    E le braccia che la stringevano a sé erano sicure, forti, protettive.
    Shurei si stava giusto lasciando andare, smettendola di tormentarsi per un paragone che avrebbe dovuto già scomparire dalla sua mente, concentrandosi totalmente sul giovane che le faceva battere il cuore nel petto come nessuno, ma venne scostata proprio da lui.
    “Milady”, esordì con voce controllata, “perdonate la mia intraprendenza, però-”
    Shurei riaprì gli occhi, per portare un dito sulle labbra di Xavern.
    “Non devi scusarti”, mormorò con dolcezza. “Solo, non capisco perché continui ad essere così formale e a non darmi del tu. Guarda che a me fa piacere se… serve a unirci di più!” concluse, arrossendo e distogliendo lo sguardo, per poi appoggiare la testa sul suo petto.
    Con un sospiro, lui puntualizzò piano: “In tal caso scusami”.
    “Lo stai facendo di nuovo: non devi scusarti”, ribadì serenamente Shurei, accarezzando le pieghe nel tessuto della sua camicia bianca, senza allontanarsi di un millimetro. Stava proprio bene lì, vicino a Xavern, che le sollevò il viso per giustificarsi guardandola dritto negli occhi.
    “Però ho smesso di essere formale. Sei contenta ora?”
    In tutta risposta, Shurei si slanciò per cingergli il collo e baciarlo, riprendendo da dove si erano interrotti.

    Non era per niente sicuro di riuscire a resisterle.
    E infatti aveva ceduto; una visita notturna mentre tutti dormivano aveva portato a quello.
    In piedi su un'alta balconata, dalla quale era poco probabile che li sorprendessero insieme, rimiravano un tetto di stelle, con la luna piena che rischiarava il cielo notturno e che rendeva lo sfondo davvero romantico... sembrava un'atmosfera creata apposta perché succedesse qualcosa.
    Lady Shurei aveva commentato estasiata che il paesaggio era bellissimo, Xavern si era fatto sfuggire quanto fosse bella lei, entrambi si erano voltati per guardarsi negli occhi giusto un attimo prima che lui sfiorasse impulsivamente le labbra schiuse della dolce marchesina, che lo attraeva come l'ape verso il miele.
    Una settimana.
    Per una settimana non si era fatto tentare, pur avendo fatto pensieri poco casti su una loro ipotetica relazione, ma era stato in grado di reprimerli immediatamente.
    Discreto. Attento. Impeccabile.
    Tuttavia, per un gesto incauto, rischiava di rovinare tutto, anche se la giovane non lo stava né respingendo né rifiutando.
    Or dunque doveva scusarsi, malgrado l'irrazionalità del momento, malgrado una passione nuova, acerba e così travolgente da dover contenere.


    Shurei voleva riprendere da dove si erano interrotti.
    Xavern rispose con trasporto, avanzando e facendola indietreggiare, guidandola fino alla colonna di destra che sosteneva un'ampia finestra ad arco.
    Dovevano andarci piano, senza affrettare le cose lo sapeva, ma sentiva che era ancora presto per congedarsi da lei.
    Non aveva dimenticato il solenne giuramento che aveva impreziosito la loro prima conversazione... vegliare sempre su ella, implicava di non farla soffrire.
    Non ne aveva alcuna intenzione, avrebbe fatto di tutto per rendere felice quella creatura angelica, bella, premurosa.
    I suoi capelli gli ricordavano una porzione di cielo sereno e privo di nuvole, i suoi occhi gemme preziose che talvolta s'incupivano, forse per la delusione, forse per la difficoltà di dimenticare.
    “Xavern…” sussurrò a un soffio dalle labbra, riportandolo alla realtà. Il viola degli occhi brillava di una luce autentica, segno che non la stava infastidendo, però...
    “Vorrei... ecco, io vorrei dormire accanto a te, stanotte”, svelò senza apparente timore, portandosi una mano al petto, proprio sul cuore. “Ti prego”, soggiunse speranzosa.
    Qualsiasi uomo ne avrebbe approfittato, dopo aver ricevuto una proposta del genere.
    Non lui, che teneva davvero a mantenere l'autocontrollo e la reputazione con lei, per quanto fosse molto difficile. Sorrise lievemente, mascherando un turbamento interiore.
    “Mia cara Shurei, non siamo fidanzati, lo sai. Non ufficialmente. Se ci scoprissero insieme...”
    “Non ti manderanno via, lo impedirei! Pregherei i nostri genitori di farti restare con me, poi gli direi tutto”.
    “Tutto?” Il tono allusivo del breve quesito la fece arrossire.
    “Beh... n-non pensare male. Succederà so-solo quando saremo pronti. Gli confesserei unicamente che mi sono innam-mmh”.
    Non le fece finire la frase, tappandole la bocca con la mano poiché aveva appena udito rumore di passi provenire dall'interno.
    Erano cadenzati, ma molto vicini.
    “Shh. Li senti?”
    Lei annuì col capo, timorosa.
    Xavern ebbe l'intuizione di tornare alla balconata e fingere di osservare assorti il cielo punteggiato di stelle, chiacchierando sulle costellazioni visibili a occhio nudo. Riferì subito a Shurei e lei acconsentì.
    Entrambi ignoravano l'identità della persona che girovagava nel palazzo di notte, così come non immaginavano che in futuro questa si sarebbe rivelata una preziosa amica e una fidata complice della loro storia d'amore appena iniziata.

    Due giorni.
    Come diavolo pretendevano che riuscisse ad orientarsi nel percorso tra quegli ampi corridoi deserti, specie di notte, quando sembravano tutti uguali?
    Lavorava a palazzo solo da due giorni e già i servitori più esperti, dall'alto della loro presunzione, la mandavano a svolgere i compiti più ingrati e faticosi.
    Aveva finito di spolverare e di lucidare tutte le statue, dalla testa ai piedi, quando si era accorta che si era fatto molto tardi.
    Miracolosamente era riuscita a trovare, nelle vicinanze di una che rappresentava un uomo a cavallo, un angusto ripostiglio e a infilarvi pezze, spazzolone, secchio e scala.
    Aveva recuperato una lampada ad olio che si poteva utilizzare, l'aveva accesa con un cerino che conservava nella tasca del grembiule azzurro e si era avviata per i corridoi.
    Tuttavia aveva perduto sia orientamento che cognizione del tempo.
    Dopo l'ennesima svolta sbuffò seccata, per poi accorgersi della presenza di una finestra in fondo a sinistra, dove la penombra si diradava.
    Non corse soltanto perché era molto stanca. L'avrebbe raggiunta con calma, si sarebbe affacciata per capire esattamente in che parte del palazzo fosse finita fino a decidere sul da farsi.
    Vi trovò invece qualcuno che non si sarebbe mai aspettata di avere davanti, non a tarda notte. Sussultò.

    “Tu sei...?”
    “Voi qui?!”
    Lo stupore che provò fu tale che stava quasi per lasciarsi sfuggire di mano la lampada dalla luce sempre più fioca.


    Continua...

    Edited by Shurei - 22/7/2013, 18:49
     
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  2. Rinalamisteriosa
     
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    Protagonisti: Lady Shurei e Xavern (OC che non mi appartengono, ovviamente ^^)
    Personaggi secondari: Erika e altri (inventati da me xD)
    Prompt del capitolo: Segreti



    ***





    Capitolo 2





    Quando tornarono alla balconata, i passi di colpo si arrestarono e Xavern fu il primo a voltarsi.
    “Tu sei...?” iniziò, cercando di ricordare dove l'aveva già vista mentre anche Shurei si girava, incuriosita.
    “Voi qui?!” sbottò l'altra, rendendosi conto di aver sbagliato tono e chinando subito il capo in segno di scuse, certa che non fosse quello il modo appropriato di rivolgersi loro, che si trovarono innanzi una giovane ragazza dai capelli scuri e disordinati, lo sguardo basso, la divisa della servitù e le mani strette al manico di una lampada.
    Xavern aprì la bocca per parlare, ma fu Shurei ad anticiparlo, chiedendole con gentilezza: “Ti sei persa, per caso?”
    Al lecito quesito, lei annuì. “B-beh, lavoro a palazzo da due giorni e ho ancora qualche difficoltà a orientarmi, signorina”, soggiunse, “chiedo scusa, spero di non aver interrotto-”
    “No, nessun disturbo…” s’intromise nervoso Xavern, assottigliando lo sguardo, tanto che fece un po’ preoccupare la marchesina.
    “Xavern?”
    Lo fissarono entrambe, chi con un’occhiata apprensiva, chi a disagio, mentre tutta la sua attenzione era rivolta proprio all’ultima arrivata.
    “Non ci credo... Sono passati anni, eravamo piccoli e spensierati quando giocavamo insieme. Lei sarà cambiata da allora, eppure… possibile che l’abbia ritrovata proprio qui?” si disse.
    Mosse qualche passo in automatico, pensando che per esserne sicuro doveva osservarla da vicino.
    Shurei tese un braccio verso di lui, non capiva, era così serio che quasi temeva potesse essersela presa per prima e volesse punire in qualche modo la ragazza.
    “Mi perdoni, signor duca”, si scusò nuovamente lei, indietreggiando con cautela. “Non volevo… mi sono persa, davvero!” esclamò, turbata da cotanta insistenza. Lo leggeva nei suoi occhi, la stava studiando e se ne convinse quando lui le arrivò a un passo di distanza e la fermò con le mani sulle spalle.
    Shurei continuava a non capire il comportamento improvviso di Xavern.
    Lei contrasse le labbra in una smorfia, insicura sul da farsi. Le conveniva divincolarsi e fuggire? Il giovane duca aveva cattive intenzioni?
    Lui si limitò soltanto a scrutarla, le fece alzare la lampada all’altezza dei loro volti, la studiò ancora e infine, dopo quelli che a Shurei sembrarono interminabili minuti di confusione, esibì un ghigno soddisfatto.
    “Anche se sei cambiata ti ho riconosciuta lo stesso…” mormorò, facendo una piccolissima pausa ad effetto, “o sbaglio, Erika?”
    Sbattendo alquanto perplessa le palpebre, Shurei si accorse che l'altra invece non aveva battuto ciglio. Era immobile. Lo guardava. Non negava, quindi...
    “Vi conoscete?” chiese, la voce che le vibrava. Xavern voltò la testa e annuì.
    “Era la mia compagna di giochi. Non farti ingannare dal suo aspetto attuale, era un vero maschiaccio all'epoca... è davvero strano per me ritrovarla così, dopo dodici anni, composta e... servile”, le spiegò brevemente, spostando lo sguardo dall'una all'altra, finché la più vicina a lui non gli schiaffò le mani con decisione, dando loro le spalle, come se fosse risentita di qualcosa.
    “Il passato è passato. Nella vita ci si allontana, si cambia... si deve cambiare per forza se si vuole andare avanti, Xanir!” motivò, irremovibile.
    Poteva vedere la sua ombra che si allungava dritta verso il muro.
    “Non ricorda come ti chiami?” chiese ancora Shurei.
    “No, cambia nome apposta”, ricordò lui.
    “In realtà mi sto esercitando a essere più docile e remissiva, d'accordo?” aggiunse stizzita, ignorandoli, per chiudere il discorso. L'altro sospirò, paziente.
    “Allora, quando ti calmerai, mi farai sapere cortesemente come mai ci siamo allontanati, perché francamente non me lo ricordo”.
    Detto questo, Xavern tese la mano a Shurei, invitandola a non restare in disparte dietro di lui. Non era più nervoso e nemmeno serio, ma rilassato, constatò con un sospiro di sollievo.
    Erika sbadigliò: la stanchezza cominciava a farsi sentire, non avrebbe retto per molto.
    “Potreste accompagnarmi verso gli alloggi? Se lo farete, prometto di non alterarmi più in vostra presenza e di non arrecarvi alcun disturbo”, assicurò in tono più mite, lo stesso che aveva usato inizialmente.
    Lui finse di pensarci su, anche se in verità aveva già un'idea alternativa in proposito, mentre Shurei le rispondeva “va bene, credo”.
    “Sì. Dovrai seguire Milady nella sua stanza e dormire con lei, per questa notte” la espresse semplicemente, divertito dalle espressioni perplesse che seguirono.
    “Ho detto che non avrei più disturbato, Xavir. Sei sordo o cosa?!”
    “Xavern, perché rigiri la mia proposta a lei?” sussurrò piano Shurei, attaccandosi al suo braccio. “Io l'avevo chiesto a te...” gli ricordò.
    “È per evitarci ulteriori giri dell'oca: al bivio ci divideremo, io andrò verso la stanza degli ospiti, mentre voi due nella tua, che è la più vicina” le spiegò, tranquillo e rassicurante. “Così domani mattina verrò a trovarti ed Erika farà la guardia alla porta”, terminò, abbassando la voce. Shurei rabbrividì: era così... sensuale.
    “Capisco...”
    Provò l'impulso di baciarlo, ma non erano soli e si vergognava di farlo.
    La ragazza si coprì un altro sbadiglio con la mano. “Va bene, io accetto. Fatemi strada, signori”, disse poi, facendosi sentire, attendendo che si dessero una mossa, invece di stare impalati a fissarsi e a bisbigliare chissà quali frasi sdolcinate.
    L’aveva capito, Erika, non era mica stupida. Due giovani come loro non si incontravano al chiaro di luna semplicemente per osservare le stelle. Forse stavano tenendo segreta la loro relazione, ma per lei era chiaro come il sole, bastava guardarli.
    Li aveva intravisti insieme anche il primo giorno, quando era giunta a palazzo; si sorridevano, ma allora aveva svoltato subito l’angolo, un po’ perché non erano affari suoi, un po’ perché non voleva incontrarlo.
    Sperava che non la riconoscesse, stava recitando la parte della servetta intimidita apposta, ma a quanto pare era una cosa inevitabile.
    E poi, le aveva chiesto il motivo dell'allontanamento da parte sua... avrebbe voluto rispondere che c'entrava suo padre, che in passato era successa una cosa spiacevole, ma Xavern non le avrebbe creduto.
    Si parlava pur sempre di un aristocratico, guai a intaccarne la reputazione!
    “No. Meglio tenerlo segreto. Domani mi inventerò una scusa qualsiasi, sempre se chiederà ancora spiegazioni...”
    Stava rimuginando su questi e su altri pensieri legati alla sua famiglia, quando li vide fermarsi, mano nella mano, di fronte a un bivio: evidentemente avevano camminato fino a quello cui lui si riferiva.
    Anche se la lampada retta dalla mano destra si era consumata da un pezzo, diversi candelabri accesi avevano permesso loro di proseguire senza alcun problema.
    Erika dovette aspettare che i due piccioncini si congedassero, prima di sperare in una buona dormita, considerato che i suoi occhi stanchi faticavano a rimanere aperti.
    Aveva indugiato troppo, una volta nella stanza non volle nemmeno ammirarne la bellezza e l’opulenza di alcuni arredi che si era già lasciata cadere su una poltrona, sprofondandoci con un’espressione beata e pronta a raggiungere l’agognato mondo dei sogni.
    “Lo farò domani…” si disse. E crollò.

    *



    Quella che stava vivendo... era l'esperienza più dolce della sua vita, senza dubbio.
    Prima Xavern le aveva assicurato che l'indomani sarebbe sicuramente venuto a trovarla nella sua stanza.
    Poi avevano camminato per i lunghi corridoi tenendosi per mano, cosa che di notte non si era mai neanche sognata di fare, un tragitto che aveva percorso senza timore solo perché c'era lui.
    Infine si erano congedati con un lungo e tenero bacio, che le aveva dato senza vergogna, malgrado la presenza della sua vecchia amica.
    A proposito di Erika, pensò di presentarsi a lei: non avevano ancora avuto occasione di parlare, a parte chiederle se si fosse smarrita.
    Quando entrò in camera, chiuse la porta e si girò con tutta l'intenzione di chiacchierare un po' prima di andare a letto, scorgendo però la ragazza che, senza fiatare, sprofondava nella poltrona vicino all'armadio.
    Shurei non se la prese per il permesso non richiesto - non era tipo da arrabbiarsi con i domestici - e si avvicinò per constatare se stesse già dormendo oppure no.
    Affermativo.
    Gli occhi chiusi e l'espressione serena di chi non si sveglierà tanto presto non lasciavano spazio a dubbi.
    Aprì un cassettone, vi tirò fuori una copertina bianca e la stese sopra Erika, rimboccandola piano come faceva un tempo con le sue bambole.
    Effettivamente, in quanto addormentata, lei poteva essere davvero confusa con una di loro, solo più grande e più colorita sulle guance.
    Shurei s'inteneriva con poco, non poteva farne a meno.
    “Spero di avere presto l'occasione per parlare con questa tipa curiosa...” pensò, spogliandosi per poter indossare la camicia da notte, disfare il letto a baldacchino, mettersi sotto le coperte rosa e spegnere la lampada sul comodino accanto.
    Già… una tipa curiosa dalla doppia personalità.
    Prima di addormentarsi, però, i suoi pensieri erano tutti per il caro duca. Con la testa sul guanciale, ripensò a quanto Xavern fosse affascinante, generoso con gli altri, altruista e tanti altri aggettivi positivi che le vennero in mente.
    E al fatto che, se lui manteneva la sua parola, Shurei avrebbe avuto un dolcissimo e romantico risveglio.

    *



    Non era ancora sorto il sole su tutto il territorio, quando qualcuno varcò i cancelli di un castello lontano rispetto al palazzo dei marchesi.
    Una nera figura scese lentamente dalla carrozza e raggiunse un uomo, che lo attendeva per scortarlo all'interno, dove, in una sala vuota e parzialmente illuminata, avrebbe incontrato una graziosa fanciulla dai lineamenti perfetti, almeno ad una prima occhiata.
    “I miei omaggi, milady”, la salutò il misterioso ospite, facendole il baciamano. “Vi ringrazio per avermi ricevuto al più presto”.
    “Salve. Se quello che mi avete detto corrisponde al vero, urge organizzare in breve tempo i preparativi che sappiamo...” esordì in tono eloquente, con voce melodiosa. “Se lui non mi lascia altra scelta, ahimé, dovrò affrettare le cose”.
    “Contate su di me per qualsiasi cosa”, garantì l'uomo, inchinandosi e seguendola finché lei non sedette sullo scranno del padre, come una principessa sul trono.
    “Perfetto. Lo terrò a mente...” disse, calandosi la mantellina sulle spalle e mostrando una fluente chioma dorata, degli occhi azzurri vispi e brillanti, un sorriso smagliante e sbarazzino. “Ora che siamo d'accordo, posso sapere il suo nome? Qual è il nome della vostra promessa sposa?” domandò infine, per pura curiosità.
    “Oh, sì, è Shurei”, rispose subito, con un ghigno che non lasciava presagire nulla di buono. “Il nome della vostra rivale in amore... è Shurei”.


    Continua...




    ***


    Noticina finale: Dunque dunque, a parte che ho continuato la scena precedente, ho introdotto Erika, il nuovo personaggio, sperando che il suo ruolo ti sia più chiaro ^^
    Non spaventarti per le due comparse finali, ma ho pensato che se filasse tutto liscio non ci sarebbe gusto xD perciò meglio complicare le cose...
    Viva la suspance! *___*
    Spero ti piaccia e che ti abbia risollevato il morale ^^ e se hai dubbi chiedi pure!
     
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  3. Rinalamisteriosa
     
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    Prompt del capitolo: Colazione



    Capitolo 3





    Era da tempo che non riposava così bene.
    Grazie alla perfetta comodità, alla morbidezza da sogno di quella poltrona e al cuscino di seta che si era ritrovata tra le braccia, Erika aveva fatto una dormita con i fiocchi. Sarebbe troppo bello non potersi alzare più, non smuoversi per nessuna ragione al mondo, ma la voce della coscienza, puntuale come un orologio a pendolo, le rammentava i suoi doveri da serva. La doveva ascoltare perché lei, pensò con amarezza, in quanto appartenente a un ceto inferiore, non doveva essere lì.
    Perché non meritava l’agiatezza; erano lungi da lei la fortuna, il lusso e la bella vita.
    Fu con un senso di rassegnazione ormai ben radicato nel tempo che la semplice popolana si levò in piedi, stiracchiando le braccia intorpidite, mentre una candida copertina cadeva sulla moquette senza produrre alcun suono.
    La osservò un attimo, poi spostò lo sguardo sul letto e ancora verso il basso, chinandosi a raccoglierla.
    Si rese conto, mentre la ripiegava con cura, che era stato scortese da parte sua addormentarsi senza ringraziare la padroncina.
    Che non meritava neanche la gentilezza della signorina e che non voleva rivangare l’infanzia in cui giocava insieme al piccolo Xavern.
    Non scostò le tende per far entrare la luce ancora tenue del sole e potersi quindi soffermare su ogni particolare della camera.
    Preferì invece uscire, a passo felpato, e lasciare che Shurei si svegliasse da sé.

    “Buongiorno, Erika”, esordì una voce riposata alle sue spalle, facendola sobbalzare leggermente mentre era intenta a richiudere pian piano la porta.
    A quanto pare, qualcuno si era svegliato prima di lei.
    “Buongiorno”, ricambiò il saluto, atona. Anche se dopo qualche secondo, le venne da domandargli a bruciapelo: “Che cosa ci fai qui fuori? Per caso aspettavi me? Non ho niente da dire…”.
    Xavern negò.
    “Non ti costringerò a dire nulla. Vorrei solo chiederti un piccolo favore”, espose, tranquillo.

    Oh. Certo.
    Avrebbe dovuto prevedere questo, aspettarsi richieste di quel genere, come se nulla fosse.
    Sentirsi dire “eri come una sorella per me. Fallo in nome della nostra vecchia amicizia”, le suonò così scontato che avrebbe dovuto congratularsi sarcasticamente per l’originalità del momento.
    E invece Erika preferì il silenzio.
    Dopo aver ascoltato e annuito alle sue parole senza proferire verbo, lo vide entrare nella stanza e costrinse se stessa a piazzarsi meccanicamente a guardia di quel corridoio e della stessa porta dalla quale, piuttosto, avrebbe voluto mettere più distanza possibile.
    “E se i membri più anziani della servitù mi stessero cercando in lungo e in largo?” pensò poi, con un sospiro.
    Essere licenziati per mancato operato non rientrava certo nei suoi piani.
    “Vedi di non metterci troppo tempo, a svegliare la tua bella…”.
    Sbuffando, Erika incrociò le braccia al petto e attese, fissando il vuoto.

    Intanto, lui si sentiva come un ladro gentiluomo in prossimità del bottino tanto ambito, o più semplicemente come un principe delle fiabe che può destare la sua incantevole principessa soltanto con il bacio del vero amore.
    Spostò le coperte fino alla sua vita, e non potendola contemplare alla luce per via degli spessi tendaggi che rendevano semioscura la grande camera da letto, non perse tempo e si chinò su di lei, congiungendo le loro labbra.
    Stava mantenendo la promessa. E capì che Shurei si era svegliata quando lei spostò le mani sulle sue guance e schiuse la bocca, acconsentendo a un contatto più intimo, più profondo, più coinvolgente.
    Quando si separarono, pareva che avessero il fiatone, eppure allo stesso tempo volevano che succedesse ancora, ancora e ancora.
    “Ci provi gusto… a farmi impazzire?” sussurrò.
    “Piuttosto il contrario…” replicò lei. “Ti vorrei qui, se possibile, ogni mattina… I tuoi baci saranno una sveglia perfetta”.
    Erano a un palmo di distanza, tanto che i loro respiri si confondevano in modo sconvolgente per i sensi.
    Lui la annullò nuovamente, poggiando un ginocchio sul bordo del letto per non caderle addosso, sfiorandole con le mani le braccia scoperte e facendole venire la pelle d’oca.
    “Mettiti seduta… io apro la finestra. Desidero vederti alla luce, amore mio”, mormorò sulle sue labbra rosate, staccandosi lentamente, mentre Shurei si emozionò talmente a sentire quella dolce richiesta che il suo cuore non la smetteva di battere, impazzito di gioia.
    Xavern raggiunse presto le tende, spostandole ai lati, permettendo alla luce del sole di illuminare il suo angelo in terra. Sentì di essere perfino arrossito, alla vista della camicia da notte rosa, un poco trasparente, che la bella Shurei indossava e che lasciava spazio all’immaginazione. Contemplò ogni curva del suo corpo ben proporzionato, finché lei non si coprì con il lenzuolo, imbarazzata a causa dello sguardo insistente e deliziato del giovane. Ma tutto sommato le iniziava a piacere, quella particolare attenzione tutta per lei.
    Stava per dire qualcosa, ma un vocione potente proveniente da fuori, dal tono tanto alto che riecheggiò anche tra la parete che separava corridoio e stanza, fece loro tendere le orecchie all’ascolto. Questo è più o meno ciò che sentirono:
    “Ecco dov’eri finita! Si può sapere dove hai passato la notte? Tu non dovresti essere qui, questi sono gli interni destinati alla figlia del padrone! Dovresti piuttosto essere a lavoro… sfaticata!”.

    “Xavern, fa’ qualcosa. Non è giusto che la sgridino così…” lo incitò Shurei, dispiaciuta. In fondo, gli comunicò con lo sguardo, l’avevano cacciata loro nei guai.
    Lui sospirò, levando gli occhi al soffitto. “Dimentichi che nemmeno io dovrei essere qui. Siamo entrambi colpevoli. Forse puoi fare qualcosa tu…”.
    “Io?!” si stupì di fronte a quel suggerimento, restando a bocca aperta.
    Però aveva ragione, non c’era un’altra scelta.

    Erika si stava guardando le unghie, alcune recanti tracce di sporco del giorno prima, altre trascurate e una rotta, quando accadde.
    Con un sussulto spaventato, si rese conto che forse il suo timore si sarebbe presto realizzato: l’avrebbero licenziata da palazzo. Non vi avrebbe più messo piede. Era già finita.
    “Calma… n-non sono riuscita a ritrovare la strada. Mi sono persa e-” tentò di giustificarsi, ma la donna robusta e dall’aria minacciosa che aveva sbraitato la sua condanna le afferrò velocemente il polso, tirandola con sé.
    Proprio mentre veniva trascinata, rassegnata al suo destino, sentì la porta dietro di loro aprirsi e chiudersi.
    “No. Ferma!” esclamò Shurei, con indosso una vestaglia indossata in tutta fretta, tanto che il nodo era legato male.
    Il suo intervento era giunto inaspettato e provvidenziale come un acquazzone sopra un terreno arido, come un pezzo di pane dopo giorni di digiuno.
    Nemmeno la stessa Shurei lo credeva possibile, in realtà, ma sperò ugualmente di essere abbastanza convincente nell’aiutare Erika.
    “Non stava facendo niente di male. Era qui fuori per mio volere”, informò la donna.
    “D’accordo”, disse quella, ferma, voltandosi per rispetto. “Verrà comunque con me, signorina. Ho una mansione da assegnarle”.
    “Ma sta già lavorando per me!” precisò Shurei, serrando i pugni. “E vi rammento che sono la figlia del padrone. I miei ordini non si discutono”, specificò ancora, sfoderando l’espressione più seria e decisa del suo repertorio, anche se se ne serviva raramente, in casi eccezionali.
    L’altra sembrò colpita, perché, dopo un inchino, non aggiunse altro, dileguandosi.
    Ed Erika non aveva parole per esprimere la sua gratitudine. Si piegò in un goffo inchino, mormorando un semplice grazie e provando un certo imbarazzo.
    “È stata grande, vero?”.
    Xavern, che prima era nascosto, venne fuori, abbracciando Shurei da dietro, poggiandole il mento sulla spalla sinistra. Lei arrossì.
    Poi avvenne un fatto positivo, perché entrambi videro Erika sorridere spontaneamente, senza alcuna forzatura, senza l’orgoglio a trattenerla.
    E sorrisero anche loro, di rimando.


    *




    “È proprio sicura di volere me a servire la colazione?” si chiese Erika, mentre la aiutava con il lungo, meraviglioso abito che Shurei avrebbe indossato quel giorno, un vestito verde con un’ampia gonna e strati di pizzi e merletti alternati a un tessuto in seta.
    “Sì. Non è un compito impegnativo. Inoltre devono credere che stai lavorando per noi”.
    “Voi?”.
    “Anche a lui devi obbedienza. Si fida di te, perciò non comprendo tutto questo distacco, tutta questa diffidenza nei suoi confronti”, ammise la marchesina, pettinando i capelli fluenti con la spazzola.
    “È una lunga storia…” rispose vagamente l’altra, indietreggiando di due passi. “Ho finito, signorina. Se vuole, possiamo andare”, la informò senza tante cerimonie.
    “Oh… sì, andiamo. Dopo me la racconterai, vero?”.
    Con un sorriso cordiale e piena di curiosità, Shurei ripose la spazzola dentro un cassetto e si voltò veloce, andando ad afferrare una mano di Erika e a stringerla tra le proprie.
    “Confesso che sono impaziente di sapere com’era Xavern da piccolo. Uh! Doveva essere un bambino adorabile e bellissimo!” esclamò intenerita, le guance imporporate. “Ho ragione?”.
    Lei restò interdetta, ma dopo qualche secondo annuì. Non voleva contraddirla, ma nemmeno sbilanciarsi subito. Certo, aveva ammesso di esserle grata, ma da qui a diventare sua confidente personale e amica ce ne voleva.
    Shurei lanciò un verso tra l’estasiato e il soddisfatto, ringraziandola a sua volta e trascinandola fuori dalla stanza, contagiata da un luminoso buonumore non condiviso dalla perplessa cameriera.
    Trovarono Xavern ad attenderle al bivio, e insieme si recarono verso la sala in cui avrebbero consumato una buona ed equilibrata colazione.



    Più di una volta, Erika palesò il suo immenso stupore con gli occhi sbarrati, la bocca aperta o incantandosi per almeno un minuto, forse perché mai prima d'ora era entrata in una sala da pranzo.
    Bellissimi servizi da tè, con teiere, piattini, tazze e tazzine, cucchiaini e forchettine per il dolce erano riposti sopra un lungo tavolo rettangolare.
    Nel carrello che le avevano detto di trasportare dalla cucina, oltre alla brocca del latte e a quella dell'acqua, c'erano dei vassoi contenenti biscotti secchi, dolcini e fette di torta dall'aspetto delizioso.
    Alle pareti, c'erano molti quadri raffiguranti svariati paesaggi e negli angoli c'erano vasi colorati che di sicuro, tutti insieme, valevano una fortuna.
    Quando raggiunse Shurei e Xavern al tavolino, loro le sorrisero incoraggianti.
    “Cosa vi servo?” domandò, dopo un inchino.
    “A me una tazza di latte. Il resto lo prendo da sola, non preoccuparti”, ordinò tranquillamente Shurei, e quando lei aveva cercato di obiettare le aveva strizzato l'occhio. “Non è un trattamento di favore. Faccio così con tutte, non mi piace essere autoritaria e oppressiva con la servitù”.
    “Come desidera”, acconsentì Erika dopo un sospiro, sorridendo lievemente mentre le versava il latte con cautela, attenta a non rovesciarne neanche una goccia sulla tovaglia.
    “Signor duca, cosa-”.
    Dopo aver fatto, si era interrotta, perché aveva notato che lui si stava già servendo da solo, porgendo poi una fetta di torta sul fazzoletto a Shurei, che lo ringraziò.
    “Sono d'accordo con lei. Possiamo servirci da soli. Siediti e mangia qualcosa anche tu”, la invitò, indicandole la sedia vuota accanto a lei.
    “Eh?! M-ma... ma non posso...” replicò titubante, chinando il capo.
    “Perché? Io credo che abbia più diritto di mangiare tu di noi due messi insieme”.
    “Sì, siediti vicino a me e non farti problemi, cara. E poi, se non mangi, non hai neanche la forza per lavorare...”.
    La loro preoccupazione, pensò, era davvero commovente. Erika non ebbe cuore di rifiutare ancora tali premure.
    Puntò uno sguardo insistente alla teiera fumante, posta sopra un vassoio a centrotavola.
    “Serviti pure”, la incoraggiò con dolcezza Shurei.
    Non se lo fece ripetere due volte. Quell'infuso zuccherato era molto buono, diversamente dal tè scadente che trovava nelle botteghe del suo paesino. Anche i biscottini e i dolcini che assaggiò le piacquero moltissimo. Solo che il modo in cui li divorava, non si addiceva molto a una signorina perbene, e lo capì dagli sguardi divertiti dei due ricchi. Coprì il suo imbarazzo con un fazzoletto di stoffa.
    “Ah! Spero mi racconterai presto del vostro passato, cara Erika. Fremo dalla voglia di sentire delle storie sul piccolo Xavern!” non riuscì a trattenersi Shurei, dopo essersi saziata.
    Il diretto interessato dapprima arrossì imbarazzato, poi aggiunse: “beh... ero sicuramente più scapestrato e irresponsabile. Sono meglio adesso, credimi”.
    “Non ne dubito, ma vorrei conoscere ogni aspetto della tua vita, se possibile...” ammise, fissandolo insieme intensamente e teneramente.
    “Erika, puoi andare alla porta, per cortesia?” le chiese Xavern, dopo essersi schiarito la voce. Lei alzò gli occhi al cielo e obbedì. Aveva capito.
    “Perché le chiedi questo?” s'interessò ingenuamente Shurei, anche se dopo un attimo, vedendo che si faceva sempre più vicino, arrivò da sola alla risposta.

    Erika sbirciò fuori, per poi guardare un momento verso di loro. Non capiva cosa esattamente ci trovassero nello stare appiccicati in quel modo.
    D'altronde non si era mai innamorata in vita sua, perciò, invece di scervellarsi su questo grande mistero chiamato amore, distolse lo sguardo per concentrarsi su uno dei tanti dipinti del palazzo, in particolare sulla donna che vi era raffigurata.
    Le ricordava un po' la sua mamma.
    Mamma…” mormorò. E le scese una lacrima.


    Continua…



    ***


    Noticina finale: Ecco che finalmente pubblico. Mi dispiaceva farti attendere ancora, così oggi mi sono messa d'impegno e ho ultimato il capitolo. Come al solito, mi auguro che sia tutto di tuo gradimento =) e ti chiedo scusa per la suspance, ma mi serve xD se scoprissi fin da ora cosa nasconde Erika, non ci sarebbe più gusto u.u

    Edited by Rinalamisteriosa - 27/12/2013, 22:17
     
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    Prompt del capitolo: Indagando


    Capitolo 4





    “Mamma, mamma!” aveva strillato con tutta la sua esuberanza di bambina, correndo a perdifiato verso una giovane donna girata di spalle.
    Quando lei si era voltata, premiandola con un sorriso luminoso e bellissimo, aprendo le sue braccia, Erika aveva continuato la corsa fino a raggiungerla e a saltarle in braccio.
    “Piccola mia, che cosa ti rende tanto euforica?” aveva chiesto con voce dolce, sostenendo il suo peso.
    “Ho vinto a nascondino! Ho battuto Xavern per cinque volte di fila!” aveva esclamato, orgogliosa di se stessa, spostando la testa dalla sua spalla per guardarla negli occhi. “E inoltre ho usato le costruzioni e i soldatini meglio di lui. Sono bravissima, vero mamma?”.
    “Certo. Ma non dimenticare che lui è più piccolo di te…” aveva replicato, accarezzandole gentilmente i corti capelli: fino a dieci anni aveva sempre portato quel taglio mascolino.
    Erika aveva annuito prontamente. “Oggi però non volevo perdere di proposito per farlo contento. Non è bello!” aveva mormorato, perché non le piaceva fingere.
    “Lo so, anche tu hai ragione…” disse, comprensiva come sempre.
    Erano così felici, allora.




    Riaprì gli occhi velati di malinconia e ricomparve il bel ritratto femminile che l’aveva portata indietro nel tempo, a quegli anni spensierati in cui l’adorata madre scoppiava di salute, mentre nell’ultimo periodo, per andare avanti, aveva costantemente bisogno di cure mediche, medicine costose e tanto riposo. E rischiava persino di diventare cieca.
    Soltanto lei poteva provvedere, aiutandola a pagarle, e difatti una volta ottenuto lo stipendio glielo avrebbe fatto recapitare senza alcun indugio.
    Ecco perché non doveva farsi licenziare. Non avrebbe perduto quella che per lei era la persona più importante del mondo.
    Si voltò, Erika, lasciandosi alle spalle il quadro e ricordando con un sussulto il motivo che l’aveva spinta a distrarsi dal lavoro: forse era ora di affrontarli come si conveniva, di dichiarare apertamente che preferiva le faccende domestiche, anche quelle pesanti, piuttosto che restare di guardia a far nulla.
    E animata da una forte decisione tornò indietro, nel grande salone, dai due. Avanzò a passo spedito con le scarpette nere che picchiettavano sul duro pavimento, richiamando così l’attenzione di Shurei, che dopo aver sorriso a Xavern si alzò in piedi per andarle incontro.
    “Qui abbiamo finito. Purtroppo non potremo godere ancora della compagnia del duca, ma passeremo comunque il tempo insieme. Spero non ti dispiaccia…” la informò, tendendo le mani guantate per afferrare le sue, che scansò subito.
    “Certo. Mi spiace declinare la gentilissima richiesta della signorina, ma preferirei lavorare. Con permesso”, replicò seriamente.
    “Prego…” mormorò lei, lievemente rattristata. Erika non ci fece caso e la superò per prendere le tazze sporche e riporle nel vassoio, quando lui la bloccò con un cenno della mano.
    “No, non m’inganni. Cosa ti succede? Pensavamo che il tuo risentimento stesse passando…” la riprese Xavern, per poi accorgersi degli occhi lucidi dell’amica d’infanzia. “Se non ti confidi, come possiamo-”.
    “Non sono affari vostri”, lo interruppe atona. “Non ho bisogno di nessun aiuto, posso persino fare a meno della vostra compassione. E per ringraziarvi della gentilezza dimostrata, mi limiterò a svolgere bene i miei compiti. Tutto qui”.
    Chinò la testa e si fece ritrosa, comportandosi come se le avessero davvero ordinato di sgombrare la tavola.
    Shurei si lasciò confortare da Xavern, anche se lui in realtà aveva ancora qualcosa da dire. Stringendo a sé la marchesina con un braccio sulle spalle, riprese la conversazione precedentemente interrotta, proprio quando Erika aveva messo mano al carrello per trasportarlo verso la grande cucina del palazzo.
    “D’accordo, Erika, non aggiungere altro. Tra poco mi recherò in paese per incontrare il mio illustre padre. Chissà se ricorda qualcosa…” dichiarò in tono eloquente, aspettando una qualunque reazione, che non tardò a presentarsi.
    La giovane, infatti, si era irrigidita, mentre le dita serrarono forte la loro presa sull’oggetto. Essendo girata, gli occhi color sabbia, dapprima sgranati, si chiusero di scatto.
    Suo padre. Che poteva saperne, quell’uomo odioso?
    Non seppe come, ma riuscì a proferire un’ultima frase, non prima di essersi morsa l’interno della guancia sinistra.
    “Cosa vuoi che ricordi? Non si è mai minimamente interessato alla nostra sorte”.
    E chiuse lì, mettendo più distanza possibile tra loro, il giusto distacco tra nobiltà e servitù.
    “Io non capisco…” mormorò Shurei, provando compassione per quella ragazza, mentre la guardava allontanarsi. “Non capisco cosa può esserle capitato di tanto spiacevole da farla chiudere in se stessa. Sembra che la sua fiducia negli altri sia stata messa a dura prova…” considerò, spostando l’attenzione sul ragazzo al suo fianco. “Non si fida di te, di me. E forse è così con tutti”.
    “Io non le ho fatto nulla, lo sai. E come avrei potuto? Eravamo solo dei bambini, allora. E poi ha detto la nostra sorte…” ragionò lui, assottigliando lo sguardo. “Possibile che sia capitato qualcosa alla sarta… cioè, a sua madre?”.
    “Quindi sua madre lavorava per voi?” s’interessò Shurei, prendendolo a braccetto. Mossero qualche passo insieme, prima che Xavern annuisse, rispondendo: “Occasionalmente, i miei genitori si rivolgevano a lei per commissionarle degli abiti, per farle rammendare le divise della servitù oppure per ricucire qualcuno dei miei piccoli indumenti, dato che ero molto vivace e capitava che mi si strappassero in più punti durante i miei spostamenti, le mie esplorazioni per la tenuta e i miei giochi. Questo finché, un giorno, non sono partite senza lasciare traccia”.
    “Sono sparite senza avvisare nessuno? Veramente?” si stupì lei. “Ma… erano insoddisfatte di qualcosa, per caso?”.
    “Non lo so. Quando io chiesi a mia madre perché Erika non veniva più a giocare con me, lei mi fece sapere solo queste cose. E poi stranamente aggiunse di dimenticarle, che erano state delle irrispettose a non lasciare neanche un biglietto per il loro padrone”.
    “Capisco… È troppo poco per definire maleducato qualcuno, non trovi?”.
    “Infatti!” esclamò lui, mostrandosi d’accordo. “Per questo motivo ci conviene indagare. Io parlerò a mio padre, cercherò il modo di introdurre la questione mantenendomi vago – non vorrei che si arrabbiasse – mentre tu, mia adorata, puoi provare con la stessa Erika”, propose.
    “Non c’è problema, lo farò. Prima che tu vada a far sellare il tuo cavallo però, ho una domanda da porti…” gli fece sapere, fermandosi.
    “Ti è stato chiesto di scordare Erika, ma l’hai riconosciuta. Cosa provi davvero per lei?” gli chiese con una certa aspettativa, perdendosi nel suo sguardo sincero.
    Il giovane le prese una mano e ne baciò il dorso, senza distoglierlo dal suo. Non aveva motivo per mentirle o per nasconderle la verità più pura e assoluta.
    “Ti assicuro che è diverso dall’amore intenso che provo per te. Se avessi avuto una sorella maggiore, proverei per lei lo stesso affetto che sentivo per quel maschiaccio che mi batteva sempre a nascondino. Anche quando ero io a vincere, sapevo che perdeva apposta per farmi felice e facevo finta di niente. Non ero stupido. Come so che oggi desidera soltanto la nostra felicità, anche se è troppo orgogliosa per ammetterlo”, replicò serenamente.
    Shurei sorrise e si aggrappò alle sue spalle, per mettersi in punta di piedi e per baciarlo dolcemente sulle labbra. Era più tranquilla adesso, e una volta staccatasi annuì, decisa a scoprire la verità insieme a lui, come se fossero due attenti e sensibili investigatori.
    “Bene, sarà meglio che mi sbrighi, così posso tornare presto da te e riferirti ogni cosa. Mi mancherai”, si congedò, attirandola a sé per un ultimo abbraccio prima della partenza. Lei chiuse gli occhi, senza smettere di sorridere. Avrebbe pensato a quel calore avvolgente fino al suo ritorno.
    “Anche tu”.


    *




    Forse Erika era riuscita a ottenere la tranquillità che andava cercando, distraendosi da certi ricordi.
    E poi, lucidare più di cento bicchieri e calici di cristallo era molto meno faticoso del lavoro con le statue, svolto il giorno precedente.
    Prima si era premurata di lavarli tutti, uno per uno, senza scheggiarli o romperli.
    Sarebbe stato un peccato, erano così belli, così delicati. Esigevano massima prudenza, grande attenzione e cura maniacale.

    “Erika?” s’intromise una voce sottile, cauta, quasi timorosa di disturbarla nella sua occupazione.
    Non le ci volle che qualche secondo per riconoscere che la marchesina non si era ancora arresa.
    Beh… se per questo, nemmeno lei avrebbe ceduto facilmente. Era inferiore, non stupida.
    “Signorina, se mi lascia finire, sarò presto al suo servizio”, si espresse con studiata calma. E sfiorò con le dita uno di quegli incantevoli bicchieri.
    “Quante volte dovrò ripetermi? Puoi darmi del tu e non sono venuta qui per richiedere i tuoi servigi… Vorrei parlare con te. Semplice. Chiacchierare come fanno le buone amiche”, puntualizzò con un sospiro paziente e benevolo. Raggiunse una sedia vicina, stipata contro la parete laterale, e con movimenti aggraziati sedette su essa, riaprendo il libro dalla copertina colorata che teneva in mano e ritrovando l’ultima frase che aveva letto.
    “Se necessario, aspetterò. Ho con me una storia d’amore, giusto per ingannare il tempo…” la informò, chinando il capo e abbandonandosi a una lettura piacevole. Era comunque pronta a interrompersi in qualunque momento, solo che il quando dipendeva esclusivamente da Erika.
    Incredula, la cameriera diffidente lasciò perdere momentaneamente il lavoro, volgendosi con tutto il corpo, le mani sui fianchi e il cipiglio serio.
    “Insomma, perché lei… cioè, tu sei così?! Io credevo che tutte le nobili fossero altezzose, superbe, disinteressate alle cose di poco valore e-e”.
    “Io tratto le persone come meritano, Erika”, ribatté Shurei, con l’attenzione di nuovo tutta concentrata verso di lei. “Non cose di poco valore, ma persone. Gente con sentimenti e valori che non voglio assolutamente deludere”, proseguì, sorridendo alla vista dell’altra, che prima aveva gonfiato le guance e il petto, e ora si distendeva interdetta. Era adorabile nella sua caparbietà.
    “I-io… Tu…” sussurrò basita, ma non riuscì a continuare. Pose piuttosto un’altra domanda, consapevole che forse la barriera che si era creata intorno non era poi così solida come credeva. “Tu e lui, come vi siete conosciuti?”.
    “Se rispondo, ti confiderai con me?” volle sapere la signorina, speranzosa. Ripescare quel preciso ricordo non era così brutto, in fondo… Quando Erika, combattuta, annuì, lei chiuse con un colpo secco il libro e glielo narrò brevemente. Se serviva a farla desistere, tanto meglio. Le raccontò che Xavern era stato così galante con lei fin dalla festa, e che da quando l’aveva salvata da un possibile stupro, non passava giorno in cui non pensasse a lui.
    “E sai, la cosa più bella è stata scoprire che i miei sentimenti erano ricambiati. Ieri poi ne ho avuto la conferma”, concluse, toccandosi le guance in fiamme.
    “Mi fa piacere sapere che, in momenti simili, lui non rimane indifferente. Peccato non si possa dire lo stesso di suo padre”, mormorò pianissimo, più a se stessa che a lei.
    “Eh? Ti sei incupita, come mai?” s’interessò Shurei, apprestandosi a raggiungerla.
    “No, niente, niente!” si giustificò Erika, sgranando gli occhi e pensando: “Accidenti a me e ai miei pensieri!”.
    L’altra le strinse una mano, facendole sentire la sua vicinanza. “Ti farebbe solo bene sfogarti, cara. Io sono già a conoscenza di qualcosa, grazie a Xavern, ma… Ci sono fatti che puoi svelarci soltanto tu”.
    Erika sospirò. Così lui aveva già spifferato ciò che sapeva…
    “Vuoi sapere il motivo che ha spinto me e mia madre a sparire dalla circolazione, fino a quando non ho deciso di farmi assumere qui? Dimmi… è questo, vero?” chiese infine, senza lasciar trasparire alcuna emozione.
    “Sì. Perché vorrei aiutarti, se possibile!” la incitò Shurei, apprensiva. E se non l’aveva ancora capito, allora era proprio cocciuta come un mulo.
    Erika si guardò intorno, forse per controllare che qualcuno non stesse spiando, finché non le bisbigliò all’orecchio: “Ok, parlerò, ma preferirei farlo in un posto più appartato, se non è un problema”.


    *




    Il luogo stabilito per l’incontro era una rustica taverna situata in un vicolo ombroso che portava, percorso qualche metro, alla piazza centrale, dove al momento i paesani si erano riuniti per il mercato del primo pomeriggio.
    Quando Xavern varcò la soglia mezza illuminata da una lanterna, il cuoco robusto e barbuto, dopo un inchino formale, lo indirizzò verso i tavoli in fondo.
    Non c’era nessun altro cliente al momento, perciò avrebbe potuto parlare liberamente delle questioni personali senza attirare su di sé sguardi indiscreti.
    Sfilò il mantello da viaggio e lo appoggiò sopra una sedia, quando scorse finalmente la figura paterna, i capelli rossi incorniciavano un viso pensieroso, con lo sguardo basso sul calice di vino che aveva richiesto.
    “Salve, Padre”, annunciò la sua presenza con un saluto rispettoso, occupando la sedia davanti all’uomo, che lo scrutò con occhi similari ai suoi. La luce soffusa, però, rendeva quel colore dorato più cupo e spento.
    Egli ricambiò con un cenno della testa.
    “Recate buone nuove?” chiese Xavern, inclinando di lato la sua.
    “A parte l’acquisto di un nuovo terreno qui vicino, tutto procede come al solito. Immagino che anche la tua permanenza dai marchesi si stia rivelando utile. Ti trovo bene, figliolo”.
    “Sì, padre. Mi trattano come uno di casa, ormai. Ma parlatemi del vostro affare: pensate di farlo fruttare? Assumerete dei braccianti che lo lavorino costantemente? Dite che sarà possibile costruirci una casa, un giorno?” s’informò, interessato. Ovviamente non aveva dimenticato che doveva indagare su Erika, ma era meglio non affrettare le cose.
    “Perché dimostri tanta curiosità?” si stupì l’uomo, mantenendo comunque il suo contegno.
    “Chissà… magari potrei stabilirmi lì, in futuro”, replicò senza problemi. “Mi piacciono queste terre, padre, sono tranquille e incontaminate”.
    “Certo. Penso di aver capito dove vuoi andare a parare. Non puoi ingannare tuo padre, Xavern”, rivelò in tono eloquente. Xavern sorrise lievemente.
    “Non riesco a nascondervi nulla. Penso di amarla, padre. Sto cercando di non affrettare le cose, come mi avete consigliato, poiché i suoi sono ancora provati dal disprezzo e dalla delusione verso quell’uomo dissoluto che li aveva ingannati. Pertanto devo dimostrare che le mie intenzioni sono sincere e sono volte al benessere di Lady Shurei”.
    “Bene. Continua su questa strada. Io approvo, forse solo tua madre ha qualcosa da ridire, per te preferiva una contessa, ma col tempo lo accetterà”, concordò.
    “Ne sono lieto e vi ringrazio per l’appoggio, è importante per me!” affermò, con un misto di affetto, ammirazione e rispetto. E vedendolo così pacato e bendisposto, capì che era giunto il momento di domandarglielo.
    “Padre, un’altra cosa: ricordate la bambina con i capelli corti che trascorreva il suo tempo a giocare con me? Sì? Ebbene, ci siamo rivisti proprio ieri… È cambiata molto, soprattutto nel carattere”.
    “La figlia della sarta?”.
    “Esatto! L’ho riconosciuta dal taglio degli occhi e da una cicatrice vicino al sopracciglio sinistro che si era fatta per colpa mia!” esclamò.
    “Mh…” si fece pensieroso.
    “Padre… avete più avuto notizie della madre, da allora? In fondo eravate in buoni rapporti…” arrivò al nocciolo della questione.
    “No, figliolo. Nessuna notizia. E francamente ne faccio a meno”.
    “Ma-”.
    “Xavern, non insistere. Non è qualcosa che ci tocca da vicino. Anzi, ignorala. Non rivolgerle più la parola, se puoi”, gli impose senza aggredirlo, severamente.
    “No, questo non posso farlo…” mormorò, appoggiando i palmi delle mani sul tavolo. “Lei finirebbe per inacidirsi ancora di più, per essere più distante di quello che è! Non l’avete vista…”.
    “Non è una cosa che ti riguarda, come è diventata sono affari suoi”, disse, impietoso. “Quella sgualdrina e sua figlia non meritano niente”.
    Detto questo, con una serietà inattaccabile tra l’altro, il vecchio duca prese in mano il calice e bevve un sorso di vino rosso, mentre il giovane si sentiva, se possibile, ancora più confuso di prima.
    Aveva definito la madre di Erika con un aggettivo non proprio buono. E non riuscì a estorcergli altre informazioni, non riuscì neanche a mangiare granché, dopo quella frase così forte ed equivoca. Si augurò che almeno la sua Shurei fosse riuscita nell’impresa…


    *




    Tornò a palazzo che il sole era in procinto di tramontare, in sella al suo cavallo bianco.
    Pieno di dubbi, perché leggermente insoddisfatto da come era andato l’incontro con il padre, smontò a terra e lasciò la bestia, dopo averle dato una pacca affettuosa sul fianco, nelle mani dell’uomo tarchiato che si occupava delle scuderie.
    Rientrò con la speranza che la vista della donna amata avrebbe alleggerito il peso dei suoi pensieri, finché non alzò la testa e la vide in cima alle scale che portavano al primo piano.
    “Xavern!” lo salutò, apparentemente gaia, tenendosi al corrimano per raggiungerlo. Anche lui si era mosso per andarle incontro e l’aveva abbracciata anche se si trovavano sugli scalini.
    Finalmente le sue labbra si erano lasciate andare a un largo sorriso, mentre la stringeva a sé.
    “Che bello rivederti…” le sussurrò con il cuore in mano. “Mio padre non ha chiarito nulla, anzi… mi ha lasciato con un altro dubbio. Tu invece? Dalla tua espressione deduco che a te sia andata meglio, o sbaglio?”.
    “Non sbagli. Ma se sorrido è per la tua presenza, non lo faccio certo per quello che mi ha rivelato Erika: son delle cose abbastanza spiacevoli”, lo mise al corrente, risalendo le scale di marmo con lui. E sospirò, sinceramente dispiaciuta.
    “Quindi ce l’hai fatta? E lei dov’è adesso?” chiese, sorpreso.
    “Sta raccogliendo i panni stesi”.
    “Allora noi due andiamo in una stanza vuota, così mi racconti tutto!” la esortò, ma Shurei lo fece fermare, trattenendolo per un braccio. “Vuole esserci anche lei. È giusto, si tratta di una questione delicata che riguarda principalmente sua madre”, gli spiegò, solidale.
    Xavern a questo punto mise il broncio.
    “Non possiamo appartarci nemmeno per un bacio?” domandò, ottenendo che la compagna arrossisse adorabilmente.
    “M-ma certo, sciocchino. Per quello sì”, replicò con un filo di voce. Lo desideravano entrambi allo stesso modo, in fondo.


    “Scusa, io ho finito”.
    Si rivolse Erika a un’altra donna, dai capelli rossi e con le lentiggini, che lavorava a palazzo, consegnandole il cesto con le lenzuola asciutte e già accuratamente ripiegate.
    “Bene, puoi andare, al resto penso io”, le fece sapere lei gentilmente, accettandolo e voltandosi per recarsi altrove.
    Se non altro non erano tutte antipatiche come il donnone che l’aveva sgridata quella mattina, pensò con un certo sollievo.
    E doveva ammettere che sfogarsi con Shurei le aveva fatto bene, anche se non aveva risolto granché, perché sapeva che non si poteva tornare indietro, che non c’era alcun rimedio per quello che aveva passato la sua cara mamma.
    Stava ancora trattenendo con tutta se stessa le lacrime, perché non era solita piangere davanti agli altri, lei voleva essere forte abbastanza da superare tutte le difficoltà. Però le parole no, quelle era convinta di averle gettate tutte fuori.
    Mentre percorreva i lunghi corridoi, sperò di non perdersi di nuovo.
    Fortunatamente si imbatté proprio nei due amici, che stavano uscendo da una stanza guardandosi intorno nervosamente, finché non si accorsero di lei.
    Le fecero cenno di avvicinarsi e lei obbedì.
    “Erika…” esordì Shurei, incoraggiante. “Te la senti di ripetere a lui quello che hai detto a me? Non sono sicura di riuscire a raccontare la vostra storia come fai tu, perciò te lo chiedo di nuovo… E ti prego di perdonare la nostra invadente curiosità”.
    Xavern annuì, d’accordo con quello che aveva detto.
    “Vorrei sentire la tua versione dei fatti, perché mio padre… Lui è riuscito soltanto a confondermi le idee”, aggiunse.
    “Lo sapevo…” proferì piano Erika, mostrando un sorriso amaro. “Lasciami indovinare. Non vuole che tu rivolga più la parola alla figlia di una sgualdrina”.
    “Sì…” confermò, colpito dalla sua brillante intuizione. “Ma non temere. Io e Shurei non siamo come i nostri genitori. Puoi davvero fidarti di noi”.
    E guardò Shurei che abbracciava commossa la sua amica d’infanzia, la stessa che s’irrigidì perché non se l’aspettava. Tempo qualche secondo e anche lui si unì all’abbraccio confortante.
    E una spiazzata Erika non riuscì più a trattenersi, piangendo quelle lacrime trattenute dopo anni di stenti e sacrifici. Con la voce rotta dal pianto, riuscì solo a sussurrare delle scuse sentite, bagnando la spallina verde del vestito della sua nuova e insostituibile amica.



    Posò il fazzolettino ricamato con il quale si era asciugata le guance bagnate.
    “Scusate ancora. Vi ho offerto uno spettacolo veramente penoso”.
    “Non eri penosa. Dovevi sfogarti come si deve”, la rassicurò Shurei, porgendole una tazza di tè caldo mentre Erika sedeva sul divano accanto a lei e Xavern occupava la poltrona singola.
    “Quando ti senti pronta, io ascolterò”, sostenne lui senza metterle pressione.
    “Non aspetterai molto…” ribatté subito, posata, la voce nuovamente decisa.
    Era già preparata a dire la verità. Perché sua madre non meritava una simile reputazione e una tale nomina infamante.


    Continua…





    Noticina: Ecco il mio regalo di Natale for you, un nuovo capitolo più lungo dei precedenti e che spero chiarisca i tuoi dubbi su Erika e la madre =) Che te ne pare?
    Non ammazzarmi per la suspance finale, ma era fondamentale anche qui!!! xDxD
    A presto con la storiella extra, cercherò di scriverla entro Capodanno! ^___^

    Edited by Rinalamisteriosa - 1/1/2014, 16:42
     
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    Prompt del capitolo: Indignazione; invito




    Capitolo 5







    “Ecco. La minestra è pronta. Mangiala prima che si raffreddi”.
    “Ti ringrazio, tesoro. Sono certa che ha un buon sapore”.

    Erika aveva riposto il vassoio arrugginito, con un piatto fumante sopra, sul comodino accanto al letto singolo occupato dalla madre malata.
    Aveva preso due cuscini vecchi e logori e glieli aveva sistemati dietro la schiena, aiutandola ad appoggiarvisi piano, prima di sedersi accanto a lei, sul bordo del letto, e di sporgersi un poco per afferrare la sostanziosa pietanza che le aveva preparato con tanto amore.
    Era incredibile guardarla in viso e scorgervi un sorriso sereno malgrado tutti i malesseri che affliggevano la povera donna, mentre a lei tremavano le mani dall’apprensione nel prendere il cucchiaio di legno per imboccarla. Come posate non avevano che pochi cucchiai e due coltelli per affettare gli ortaggi e la carne, quando se la potevano permettere.
    Dopo che aveva mandato giù il necessario per sentirsi sazia, l’aveva vista bere un sorso d’acqua dal bicchiere di terracotta. Poi lo aveva posato per poter sfiorare il suo braccio con la mano libera.
    “Erika… mi dispiace”, aveva mormorato piano. “Mi dispiace tanto, perché tu meriti una vita diversa da quella difficile che ti ho offerto finora, perché vorrei che tu fossi felice”.
    Vedendo che la figlia aveva scosso il capo con noncuranza, lei aveva sollevato la mano fredda fino ad accarezzarle piano una guancia morbida.
    “Dovresti smetterla, perciò, di occuparti di me giorno e notte. Proseguire la tua esistenza in un posto migliore e più bello di una simile catapecchia”.
    “No!” aveva negato con prontezza. “Come posso lasciarti da sola nel tuo stato di salute?” aveva domandato, decisamente incredula.
    “Ma no, non preoccuparti. Ci sono sempre la signora della casa accanto e gli altri vicini. C’è il dottore, c’è la farmacista. Avrò qualcuno su cui contare in tua assenza”, le aveva spiegato, a suo parere minimizzando la delicata questione.
    “Se è per il lavoro, lo sto cercando, mamma! E comunque non accetterei mai un impiego troppo distante, quindi dovresti essere tu a non preoccuparti. A me non dispiace accudirti e sostenerti, lo sai!” aveva motivato concitata. “Non delirare più, ti prego…” l’aveva supplicata poi, scostandole la mano che nel frattempo era salita sui capelli sporchi e spettinati. Allora si era alzata in piedi e aveva incrociato le braccia al petto, percorrendo nervosamente la stanza avanti e indietro sul pavimento rovinato.
    “Per dimostrarti che non sto delirando, ti rivelerò una cosa. Sei abbastanza grande per accettare quello che sto per dire…” aveva riferito a quel punto.
    “Oh. Bene. Riguarda forse il padre che non ho conosciuto?” aveva provato a indovinare con un pizzico di scetticismo verso le sue stesse parole.
    Infatti sua madre aveva negato subito con il capo, invitandola a sedersi nuovamente vicino a lei.
    E dato che ormai quella donna così fragile, così somigliante a lei e a cui voleva un bene dell’anima aveva attirato la sua curiosità, si decise a obbedire e ad accomodarsi, le mani strette in grembo e in attesa delle sue parole.
    Presto sarebbero sopraggiunte incredulità e indignazione misti ad altri sentimenti negativi, tutti rivolti non a chi aveva davanti, sfortunata vittima del fato, ma esclusivamente al tremendo ‘segreto’ che si portava dietro da quasi dodici anni.
    E che le chiariva ogni cosa.




    Era una situazione commovente.
    Incoraggiata dal loro interesse totale e sincero verso la propria storia, Erika era decisa più che mai a ripetere ciò che aveva già confessato a Shurei. A questo punto le conveniva rischiare di assistere a ogni possibile reazione di Xavern, ovviamente avrebbe affrontato il discorso con meno titubanza e con le parole già pronte, in fondo si trattava pur sempre della seconda volta in un giorno e dovrebbe essere più facile della prima, no?
    Bevve un sorso e riprese a parlare.
    “Innanzitutto, devi sapere che mia madre era grata e riconoscente ai tuoi genitori per il lavoro che le avevano offerto allora: grazie alla loro influenza nel territorio, le venivano presentati regolarmente svariati clienti importanti che apprezzavano ed elogiavano i suoi capi e l’impegno costante che metteva in ogni singola stoffa o accessorio che utilizzava. Diventava sempre più brava, sempre più capace”.
    S’interruppe per concedersi un altro po’ di tè, mentre lui annuiva.
    Erika sorrise amaramente. “Non poteva certo immaginare che questo fruttuoso periodo della sua vita sarebbe giunto a termine… Tra le conoscenze del duca, si celava una figura sinistra e perversa. Sto parlando di colui che le avrebbe rovinato la brillante carriera, la reputazione irreprensibile, che avrebbe stravolto la nostra felice esistenza! Quest’uomo…” continuò dopo aver inspirato profondamente per mantenere la calma. “Lui si presentò alla nostra porta chiedendo consulenza alla mia ignara madre, che lo descrisse come un signore distinto e cortese, o almeno così le apparve all’inizio”.
    “Aspetta, chi è? Per caso lo conosco?” domandò Xavern, che anche se era preso dal racconto non poté evitare di indagare sull’identità del suddetto.
    “Se te ne sto parlando, è perché nemmeno io so di chi si tratta. D’altronde sono stata all’oscuro di tutto fino a qualche mese fa…” rispose vaga.
    “D’accordo. Vedendo la tua tensione, deduco che se un giorno tu scoprissi la vera identità di questo conoscente di mio padre, chiunque sia non la passerebbe liscia. È davvero così sconvolgente ciò che ha fatto a tua madre?”.
    “Certo. Non immagini quanto…” dichiarò Erika, cupa in volto, senza smentire ciò che l’amico d’infanzia aveva affermato candidamente. Shurei chinò il capo, dispiaciuta poiché già sapeva.
    “Lei l’aveva condotto nel suo laboratorio, dopo essersi fidata della prima impressione e dei suoi modi affabili e gentili. Una volta soli, rivelò la sua vera natura. Quanto avrei voluto essere stata presente! Sono certa che davanti a una bambina non si sarebbe mai permesso di… di…” esitò un momento, in preda all’inquietudine e alla rabbia.
    “Davvero non ci arrivi, Xavern?” intervenne Shurei, tamponandosi un occhio umido con un fazzolettino ricamato. “Devi proprio far parlare Erika riguardo a un atto tanto riprovevole ai danni della madre?”.
    “Ho capito, ma vi rendete conto di ciò che comporta?” sbottò lui. Anche se dubbioso, doveva metterle al corrente dell’impressione che gli aveva dato quel pomeriggio suo padre. “Il suo vecchio padrone è fermamente convinto, o almeno così mi è sembrato, che lei sia quel genere di donna. Ed è la parola di un aristocratico stimato contro quella di una sarta fallita… Anche se io dovessi crederti, Erika, non basterebbe a fargli cambiare idea”.
    “Ne sono consapevole. E onestamente non mi importa di quello che pensa, sono due uomini che hanno ferito profondamente mia madre, chi un modo chi nell’altro, e tanto mi basta per odiarli a morte!” aveva ribattuto, alzandosi di scatto dal divano e stringendo i pugni, tanto che poteva sentire le unghie premere forte contro i palmi delle mani. Li detestava profondamente, pur sapendo che a uno di loro non poteva ancora associare un volto ben definito.
    “Sei contento? Ora finalmente conosci il motivo che ci ha spinte a fuggire, ad andare il più lontano possibile da loro, anche se io allora ne ero completamente ignara…” continuò.
    E Xavern a questo punto non sapeva come replicare, la vedeva così sconvolta e al tempo stesso così ostinata che forse avrebbe solo peggiorato la situazione e il suo nero umore.
    Voleva davvero correre il rischio di allontanarla nuovamente per difendere la parola del genitore?
    Stava per rispondere che in qualche modo avrebbe continuato con le sue indagini, quando bussarono alla porta.
    Shurei sussultò prima di dare il permesso a chiunque fosse di entrare, mentre Erika chinava il capo e si avvicinava alla finestra per non mostrare il suo stato pietoso.
    Era la governante.
    “Signorina, i marchesi gradiscono la presenza sua e del duca Xavern a cena. Vi consiglio di non farli attendere oltre”, informò con voce tonante, ma sempre riverente.
    “Andate, per cortesia. Mi avete interrogato abbastanza per oggi, ho bisogno di riposare per i lavori che mi aspettano domani…” ne approfittò Erika, tornando sui suoi passi e procedendo spedita verso la porta sotto gli sguardi preoccupati dei due giovani nobili, mentre l’altra donna decise di accompagnarla, lasciandoli da soli.
    Per qualche secondo li avvolse una cappa di silenzio perfetto. Lei non piangeva più e lo osservava, in placida attesa di un suo gesto o di una sua parola.
    “Bene…” batté le mani sulle ginocchia e si issò in piedi, dopo essere stato per tutto il tempo seduto sulla poltrona. “Sarà meglio non far aspettare troppo i marchesi. Ne riparleremo in un altro momento”, decise.
    Anche Shurei si alzò, lisciandosi il tessuto della gonna dove sembrava stropicciata. Gli rivolse un sorriso forzato e lo precedette.
    Xavern inclinò leggermente la testa di lato.
    “Che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato?” le chiese seguendola.
    “No. Si chiama solidarietà femminile. Certi uomini sono così deludenti, così insensibili verso noi donne… Nel peggiore dei casi diventano dei mostri”, rifletté mesta.
    “Sì, sono d’accordo. Però fortunatamente non siamo tutti della stessa pasta”.
    “Lo so”.
    Stavano per uscire dalla stanza, quando lui la fece fermare e voltare gentilmente verso di sé. La sua presa sulle spalle voleva essere rassicurante e protettiva.
    “E se per caso dovessi deluderti anch’io, credimi, farei di tutto per ottenere il tuo perdono!” garantì con ferma convinzione.
    “Non stavo dubitando di te, ma lo ricorderò…” e la marchesina non aggiunse altro, poiché in un attimo si persero in un dolce e rassicurante bacio, abbracciati contro la porta socchiusa.
    Avevano bisogno di un momento esclusivamente loro prima di staccarsi e di recarsi a cena, dove non sarebbe stato possibile lasciarsi trasportare dai più puri e travolgenti sentimenti.
    E stare così vicini non rientrava tra i comportamenti decorosi da tenere a tavola.


    *




    Né il giorno seguente né quello dopo ancora, Shurei e Xavern ebbero modo di proseguire l’interessante e da un lato difficile conversazione con la sfuggente Erika.
    Non si fece vedere in giro, tanto che iniziarono a stare in apprensione, temendo che potesse macchinare qualcosa di folle, un progetto noto soltanto a lei, pur di riscattare la madre.



    Il terzo giorno però Shurei fu lieta di constatare che non era così, almeno in apparenza.
    Stava percorrendo il sentiero che si snodava nel grande, curato e lussureggiante giardino del palazzo quando un familiare miagolio attirò subito la sua attenzione.
    Capendo che il suono proveniva da un cespuglio di more e mirtilli, si avvicinò e si chinò abbastanza per non sporcare l’orlo dell’abito chiaro che aveva indossato quella mattina.
    “Lo so che sei lì piccola… Avanti, vieni qui. Sono io…” parlò verso il groviglio di foglie e frutti.
    Un semplice osservatore avrebbe potuto pensare che la ragazza fosse ammattita a rivolgersi così a una cosa inanimata, ma presto il musino peloso di una gatta bianca come il cotone fece capolino da essa.
    “Ti ho vista, Minù. Devi essere tu a venire da me, altrimenti mi sporcherò tutta”, la avvisò, tendendo un braccio dopo essersi sfilata il guanto candido come il vestito.
    Miagolando obbedì alla padroncina e si fece accarezzare galantemente la schiena sinuosa.
    "Si sentirà nobile anche lei", pensò Shurei sorridendo orgogliosa.
    “Signorina?”.
    Sussultò, presa alla sprovvista da quella voce femminile che negli ultimi due giorni non si era fatta udire. Minù tornò a nascondersi dentro al cespuglio verde, forse perché aveva provato la medesima sorpresa.
    “Erika! Finalmente! Dove sei stata? Che cosa hai fatto? Io e Xavern eravamo preoccupati, sai?” la tempestò di domande. Mantenendo un’espressione neutra, si strinse nelle spalle e le rispose:
    “Non mi sono mossa dagli alloggi della servitù. Ho chiesto di lavorare nelle stanze vuote, per non vedere nessuno e per tenere la mente impegnata. Se oggi ti ho cercata, è perché vorrei domandare perdono”.
    Erika si inchinò, flettendo tutto il busto in avanti, le braccia irrigidite dal movimento remissivo.
    “Sono spiacente di avervi mostrato la mia indignazione. Siete stati spettatori della mia rabbia, che sento crescere sempre di più ogni volta che ripenso al racconto di mia madre. Mi dispiace davvero tanto!” chiarì mordendosi il labbro inferiore. Ovviamente Shurei accolse le sue parole accorate con un segno di diniego, rindossando il guanto e parlandole tranquillamente, con sollievo.
    “Avvicinati”, la invitò, spostando gli occhi violetti da lei al cespuglio rigoglioso di more e mirtilli.
    “Erika… Ti piacciono gli animali?” s’informò mentre la cameriera si faceva meno distante, le mani unite in grembo.
    “Sì…” affermò con vaga curiosità.
    “E non ne sei allergica?” sperò.
    “No. Mai avuto problemi a toccarli”.
    “Perfetto!” esclamò contenta la marchesina, battendo le sue mani guantate e lasciandole accostate tra loro. “Allora potresti recuperare la mia micia birichina, che sta giocando a nascondino. La vedi?”.
    “Sì. Posso provare…” rispose volenterosa Erika.
    Così, dopo essersi rimboccata le maniche, la ragazza si intrufolò decisa tra l’arbusto indicato e le siepi ben potate, uscendone solamente quando ebbe recuperato la sua Minù. Erika si rese conto che quella micetta aveva il pelo così soffice che le sembrò di reggere tra le mani una nuvoletta di cotone. Era leggera come una piuma, da sostenere con una facilità disarmante.
    Se la appoggiò cautamente a destra, tra il braccio e la spalla, mentre Shurei annuiva e le suggeriva con vivacità di seguirla sotto l’ombra del faggio piantato a due metri di distanza.
    La giovane nobile sedette su una panchina color sabbia dopo essersi assicurata con uno sguardo che non fosse sporca, a Erika invece non importò di accomodarsi per terra, con la schiena appoggiata al tronco e la gatta ancora tra le braccia.
    Iniziò ad accarezzarla distrattamente.
    “È tranquilla. Significa che le piace stare con te…” constatò Shurei, fissandole intenerita.
    “Sono del parere che molti animali siano pacifici e fiduciosi di natura e che basta solo saperli prendere per il verso giusto. Non sopporto proprio chi non li capisce e li maltratta, innervosendoli. Ed è terribile quando sono costretti ad abbandonare il loro habitat naturale…” espresse un suo modesto e sentito parere, giusto per intavolare una conversazione che non la riguardasse personalmente.
    “La pensiamo allo stesso modo. Infatti lei e le altre creaturine che abbiamo vengono trattate con il massimo riguardo…” disse.
    “Lo so, qui ci vivono delle brave persone”.
    Le due si guardarono e si sorrisero lievemente, liete di aver raggiunto un’intesa sullo stesso fronte, accomunate dalla sensibilità verso gli animali in generale.
    “Sai… vorrei davvero che tu mi permetta di esserti amica. Quando ero piccola, non ne avevo neanche una. Vivevo e giocavo da sola nel grande palazzo della mia famiglia. Ogni tanto qualche cameriera sembrava quasi impietosirsi e si svagava con me, ma non era la stessa cosa… avrei voluto che fosse una bambina, come ero io allora”, le confidò, abbracciando un’idea di completezza che soltanto Erika come amica e Xavern come compagno e uomo della sua vita potevano donarle. E la ragazza era molto più dura da convincere, rispetto all’amato duca.
    “Mi piacerebbe accontentarti, ma…” sospirò Erika, combattuta.
    “Ma?” ripeté l’altra. Minù miagolò appagata, facendo le fusa dopo una leggera grattatina alle orecchie a punta.
    Erika sospirò. “Se diventassimo amiche, mi sentirei in debito. I tuoi genitori mi pagano perché sono ricchi, invece io e mia madre siamo povere. Non potrei mai restituire ciò che mi viene dato… Certo, compenso con il lavoro, però non è la stessa cosa…” ragionò, usando una logica di scambio abbastanza elementare. “Sarebbe un’amicizia poco equa!” affermò.
    “E tu davvero pensi che dia questa importanza ai soldi?” domandò Shurei, aggrottando le fini sopracciglia per poi ridacchiare compostamente l’attimo dopo. “Per me avresti un valore inestimabile semplicemente con la tua presenza e il tuo sostegno. E la fiducia reciproca, cara Erika, non ha prezzo!” le assicurò, tendendo le braccia verso la sua gattina.
    “Beh… tentar non nuoce. Se sei sicura-”, mormorò arrossendo, passando delicatamente Minù alla sua padrona.
    “Certo! E per dimostrare la veridicità di tale dichiarazione, ti prometto che più tardi parlerò con i miei, e da domani tu sarai esclusivamente al mio servizio”, decise mentre si spupazzava la candida micetta. “In apparenza mi farai da cameriera personale, ma sarai trattata da me come un’amica preziosa e insostituibile. E molto presto spediremo gran parte dei soldi che ti spettano al medico che ha in cura tua madre…” progettò, beneficiando dell’espressione meravigliata e riconoscente della ragazza più grande, che si era alzata in piedi. Fino a quel momento, a lei sola aveva parlato della malattia contratta dalla donna.
    “Grazie di cuore”.
    In un impulso dovuto al sollievo e alla gioia, la abbracciò di slancio, schiacciando una contrariata Minù contro il petto florido della marchesina.
    “Tutto è bene quel che finisce bene. Anche se in realtà è solo l’inizio…” commentò una sorridente Shurei, dondolandosi in quell’abbraccio caldo e innocente.
    “Già…” si rilassò Erika, staccandosi e ricambiando il sorriso come meglio poteva. “Questo è il mio lato migliore. Non sono stata sempre così diffidente, sai? Da piccola ero estroversa e avevo tantissimi amici, mica giocavo solamente con il tuo duca”.
    “Bene. Allora ricorderai che sto ancora aspettando il resoconto della vostra infanzia…” sostenne avida di curiosità, facendole posto sulla panchina in cui era ancora seduta, con Minù che, da quando si erano separate, si era accoccolata contro il suo grembo.
    Ed Erika, finalmente, acconsentì a rivelarle certi ricordi, incoraggiata dal crescente buonumore per le belle promesse della sua nuova amica e confidente.


    *




    “Barone”.
    “Contessa”.
    “Come procedono i preparativi? Spero non ci siano stati intoppi…” s’informò la più giovane tra i due nobili, affacciata dalla sua carrozza dopo che questa aveva incrociato il calesse senza tettuccio dell’altro. Questa volta, notò l’uomo, la sua acconciatura era più elaborata e il suo vestito più sgargiante rispetto all’ultima volta che l’aveva vista per rivelarle il nome della sua rivale, di cui sembrava non preoccuparsi minimamente.
    “Nessun intoppo, milady. I duchi sono stati informati, la vostra festa è in allestimento e gli inviti sono stati tutti spediti. Incluso quello più importante di tutti, naturalmente”, sciorinò lezioso, togliendosi il cappello a cilindro e portandoselo al petto. Era persino orgoglioso di indossare il suo elegante completo grigio, dato che le altre volte si era dovuto travestire a causa di due faccende spinose.
    Non sempre le sue strategie e i suoi inganni funzionavano, purtroppo.
    “Perfetto. E siccome anch’io sono una ragazza di parola, caro signore, ho provveduto alle vostre richieste e vi informo che siete stato riscattato. Ho convinto il mio illustre padre a intervenire, perciò non dovete più temere di mostrare la vostra vera identità in pubblico. Anzi, vi confesso che siete molto più affascinante così…” gli riferì lusinghiera.
    “Lei è troppo buona, contessa. Comunque lo sapevo già, altrimenti avrei mantenuto l’aspetto da vecchio in miseria anche oggi…” disse, fingendo contrizione. “Per mia fortuna, l’incubo è finito. Adesso la priorità è non farsi più fregare dalla vita, o sbaglio?”.
    “Non sbagliate”, gli diede ragione lei, sorridendo enigmatica, subito imitata dal suo complice in affari.
    “Mi dovete scusare, ma avrei un appuntamento con la mia sarta. Arrivederci, barone”.
    “Capisco. Arrivederci, mia cara”.
    Accomiatatasi, si ritirò dentro alla carrozza schiudendo le tende di velluto blu, e dopo qualche secondo il cocchiere la fece ripartire gestendo i due cavalli bianchi con le redini.
    Lui invece era già stato al suo appuntamento con il barbiere, perciò, rimettendosi il cilindro sul capo ben curato, si affrettò a raggiungere la sua tenuta, finalmente libera dal sequestro imposto dalla legge.


    *




    Era proprio vero quello che si diceva sull’amore.
    Che era un’esperienza totalizzante e che il pensiero della persona amata ti accompagnava giorno per giorno, diventando un chiodo fisso, una dolce ossessione, un bisogno essenziale.
    I baci inattesi, rubati, dati per gioco, scambiati di nascosto.
    Riempivano Xavern di euforia, quelle labbra rosate, piene, morbide, umide e invitanti lo mandavano dritto in paradiso senza bisogno di morire per arrivarci.
    Anche se non avevano ancora osato compiere quel passo e farsi travolgere dalla forte passione che poteva scaturire dal loro amore puro e sincero, anche se si imponeva di essere cauto, sentiva che non mancava molto.
    Stava cercando Shurei, voleva approfittare di un momento libero per poterla stringere tra le braccia, per poter stare nascosti tra le mille sfumature di verde e marrone che dominavano il paesaggio fuori dalle mura domestiche, sicuri che nessuno avrebbe potuto spiarli eccetto forse Erika, anche se conoscendola avrebbe girato i tacchi per andarsene in giro.
    Pensava a cose liete, quando successe.
    Si sentì chiamare, e guardando verso il sentiero che portava fuori dalla villa, vide che un giovane dall’aspetto trasandato e naturale gli veniva incontro.
    Lui spalancò gli occhi, poiché lo conosceva, era un garzone che lavorava dalle sue parti, una volta lo aveva persino pagato per aggiustare, assieme ad altri braccianti, il sistema di irrigazione delle sue terre.
    “Signore! È da parecchio che non ci vediamo, come sta?” esordì amichevole.
    “Hai ragione. Io sto bene, come vedi. Vorrei solo capire cosa ti ha portato qui…” replicò, palesando la sua sorpresa per l’incontro inaspettato.
    “Semplice. Mi è stata affidata una lettera per voi, per Lord Xavern, e sono stato ben felice di partire e di consegnarvela personalmente!” esclamò con un sorriso spontaneo, tirando fuori dalla sacca da viaggio una lettera sigillata e un poco ammaccata.
    Incuriosito, da un lato perché non si aspettava missive urgenti, dall’altro perché era strano che qualcun altro oltre ai suoi genitori sapesse dove era ospitato, strappò la busta e ne estrasse un biglietto con carta di pergamena.
    Un invito ufficiale, per essere più precisi.
    La calligrafia ordinata gli fece intuire che il mittente doveva aver pagato uno esperto in queste cose, perché non vi erano errori né sbavature d’inchiostro.
    Fu leggendola che arrivò il peggio.
    “Co-come? No… No, non ci credo. È uno scherzo… e di pessimo gusto, anche”.
    “Oh. Che cosa dice? Se non sono indiscreto, ovvio…” chiese preoccupato il garzone, dopo aver visto che il suo padrone era improvvisamente sbiancato, quasi come un fantasma o un cadavere ambulante.
    Lesse nei suoi occhi chiari sorpresa, timore e anche delusione. Tutti insieme.
    In risposta, ottenne che lui gli riconsegnasse nuovamente ciò che aveva ricevuto.
    “Tienila tu. Te lo chiedo per favore, custodiscila gelosamente, non mostrarla a nessuno e rimani nei dintorni. È chiaro? Quanto a me… Devo accertarmi immediatamente di una cosa”.
    “Sì…” sussurrò spaesato, vedendo il giovane duca scomporsi e correre rapido in direzione del grande e imponente palazzo che gli stava innanzi. Solo adesso che era rimasto da solo, poteva ammirarlo in tutta la sua altezza.
    Poi si ricordò dell’invito che tanto aveva turbato il nobile e che stava ancora nella mano destra, ma non sapeva leggere né scrivere, nessuno lo aveva mai educato in queste arti e quindi sarebbe rimasto con il dubbio. Lo conservò come gli era stato ordinato, si mise la sacca in spalla e andò alla ricerca di un pasto economico e di un giaciglio per riposare le gambe affaticate dopo tanto cammino.


    Continua…








    Noticina: Più lungo e più misterioso del precedente, lo so xD ma almeno si intuisce cosa ha passato la sfortunata madre di Erika ç_ç anche perché non descriverei mai quella scena, mi si stringe il cuore solo a pensarci...
    Gemi cara, per sapere che cosa hanno in mente le due menti criminali (?) della storia e perché Xavern è sbiancato leggendo l'invito ricevuto dovrai aspettare il prossimo capitolo, sorry ^^' sarai paziente nevvero?
    E intanto cerca di scrivere la tua, appena puoi **

    Edited by Rinalamisteriosa - 6/5/2014, 22:14
     
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    Capitolo 6







    Una complicazione impensabile, ecco cos’era. Improvvisa come un lampo a ciel sereno e dannosa come una tempesta.
    Era la prima volta da quando si era trasferito lì, che correva irrequieto verso l’entrata principale della tenuta, che spalancava l’alto portone senza richiuderlo, che saliva svelto i gradini di marmo, che attraversava gli ampi corridoi come se lo stesse inseguendo il diavolo in persona.
    Si fermò in prossimità di una porta chiusa, giusto il tempo per riprendere fiato, portando una mano al petto, esausto e stravolto.
    Xavern non sapeva se dentro avrebbe trovato effettivamente il marchese, ma doveva accertarsi di una cosa, e doveva farlo subito. Chiuse una mano a pugno e con le nocche bussò un paio di volte, per poi attendere una risposta che però non udì. Allora pensò di entrare comunque, augurandosi che per caso, tra la posta giunta al padrone, vi fosse anche l’invito che tanto l’aveva agitato.
    Perché doveva trattarsi di uno scherzo di cattivo gusto, non c’era altra spiegazione plausibile! Lui non ne sapeva assolutamente niente e suo padre non poteva avergli fatto questo, essendo del tutto a conoscenza dei sentimenti forti e autentici che nutriva per Shurei.
    Era semplicemente assurdo, inconcepibile, perciò si spinse a frugare per bene nella scrivania, a nascondere la busta colpevole nel caso in cui l’avesse trovata in quel momento.
    “Duca… Ma che sta facendo nel mio ufficio?” intervenne una voce sorpresa e rude, che lo fece paralizzare mentre era intento ad aprire uno dei piccoli cassetti e rimanere a occhi sgranati.
    E adesso?



    “Non so adesso, ma quando era piccolo era molto goffo. Ricordo che se giocavamo nella foresta, lui inciampava e io dovevo tornare indietro ad aiutarlo. E se si faceva male si intestardiva e negava, mostrando un broncio così adorabile che, ancora oggi, il pensiero mi fa un poco sorridere…” le riferì, dopo aver raccontato ininterrottamente, per dieci minuti circa, tutto quello che rammentava più volentieri e omettendo ciò che invece riguardava quell’uomo odioso.
    Mai una volta il nobile padre le aveva rivolto parole gentili e affabili, soltanto freddi rimproveri e l’avvertimento di tenere d’occhio il figlio perché lei era più grande e quindi bla bla bla.
    Insomma, era frustrante dovere ripensare a certe cose.
    “Posso immaginare…” rispose Shurei, sospirando estasiata. “Se io l’avessi conosciuto allora, l’avrei coccolato come si fa con un orsetto tenerissimo e riempito di bacini!”.
    Gli occhi le rilucevano, mentre congiungeva le mani e gongolava sul posto.
    Erika si chiese se non fosse il caso di interrompere il sogno ad occhi aperti della neo amica, perché si era ricordata solo in quel momento di avere una mansione da svolgere.
    Minù si era appisolata acciambellandosi tra le sue gambe, quindi era meglio se iniziava a spostarla, sperando che non la graffiasse risentita dai movimenti imprudenti.
    “Signorina… cioè, Shurei, ora possiamo rientrare? Mi sembra di avere appena esaurito i ricordi”, si giustificò sul momento, facendo pian piano con la candida gattina.
    “Sì, certamente. In effetti ho il desiderio di abbracciarlo. Non preoccuparti, non ti graffierà!” la rassicurò vedendola muoversi cautamente, come leggendole nel pensiero. Erika sorrise grata finché non riuscì nel suo proposito, anche se rimasero i segni delle zampette sul grembiule ordinario.
    In men che non si dica si alzarono e insieme percorsero qualche metro, finché le due fanciulle non si imbatterono in uno sconosciuto, precisamente in un giovane che si guardava intorno spaesato.
    “Chi sei? Ti sei perso?” s’incuriosì Shurei, incrociando lo sguardo di Erika, che perplessa fece spallucce.
    Siccome stava dando loro le spalle, sentendo la domanda improvvisa si voltò e sorrise imbarazzato, portando una mano dietro la nuca.
    “Eh, già. Non sono di queste parti, giungo da molto lontano per una consegna urgente che ho già effettuato. Mi sento brontolare lo stomaco, non è che per caso queste graziose signorine possono indicarmi un luogo in cui si mangia bene, ma senza dover pagare un occhio della testa? Sono un umile lavoratore di passaggio, in fondo, eh eh”.
    Come un fiume in piena, aveva pronunciato queste parole chiare e comprensibili. Sia Erika che Shurei lo osservarono: che non era ricco si notava dal tipo di abbigliamento semplice che indossava (stivali e calzoni logori, una camicia color bianco sporco e un gilet rattoppato in due punti) e dai bruni capelli spettinati. Era alto e magro, ma non sciupato. Teneva gli occhi socchiusi, quindi finché non li avesse aperti non potevano sapere di che colore fossero.
    “Dovrei avere degli avanzi nel mio alloggio. Se mi segui non c’è bisogno che tiri fuori alcun soldo, dobbiamo essere generosi tra umili lavoratori…” propose piatta Erika.
    “Andate voi due da soli? In effetti lui sembra simpatico e forse sareste perfetti insieme”, insinuò la sua amica, mentre lei scosse il capo.
    “Non farti strane idee. Lo dico perché tu volevi cercare Xavern, io invece gli darò qualcosa e dopo andrò subito a lavorare!” sbottò incrociando le braccia al petto e alzando gli occhi al cielo, annoiata.
    Il nuovo arrivato non smise di sorridere apertamente e accennò un sì con la testa.
    “Non preoccuparti e grazie per la gentilezza, signorina cameriera. Prometto di rubare pochi minuti del tuo prezioso tempo e di non importunare nessuno!” affermò candidamente, sistemando meglio la sacca da viaggio sulla spalla.



    “Marchese. Non si faccia un’impressione sbagliata, la prego. Si tratta di un ordine del mio onorato padre. Devo assicurarmi di leggere ogni lettera, ogni messaggio che mi invia. Ho pensato che magari uno di questi poteva essersi confuso con le vostre missive, non-” sciorinò, sperando di risultare abbastanza credibile. L’uomo si stupì.
    “A onor di logica, duca Xavern, lo avreste saputo. La mia onestà mi impone di passarvi direttamente lettera o messaggio che sia, non ho motivo di non fidarmi di voi”.
    “Ah. Buono a sapersi”, mormorò, teso come una corda di violino.
    “Suvvia, siete ben informato. Ho già espresso buone parole per voi, da quando vi ospitiamo l’umore della mia principessina è notevolmente migliorato. Prima del vostro arrivo, Shurei era sempre pensierosa, giù di morale, a volte si chiudeva nella sua stanza e usciva a stento”.
    “E sono lieto di aver contribuito a un tale miglioramento…” aggiunse.
    “Ora però sembrate voi quello pensieroso: cosa vi turba?” s’interessò l’altro.
    “Nulla che non si possa risolvere, signore. Mi premeva sapere se c’era posta che mi riguardasse, ma se così non è tolgo subito il disturbo. Con permesso”, replicò educatamente aggirando l’ingombra scrivania e superando l’uomo che non lo fermò, mantenendo la testa dritta mentre lasciava lo studio.



    Biscotti secchi e pane al miele. Erika gli aveva dato quanto bastava per saziarsi un pochino, ma non era proprio sufficiente. Questo spiegava il corpicino pelle e ossa che si ritrovava, dovrebbe mangiare di più, ma malgrado ciò la considerava davvero graziosa.
    Ingoiò l’ultimo boccone prima di ringraziarla nuovamente. Con il manico arrugginito di un secchio vuoto tra le mani, lei fece un cenno obliquo verso l’uscita.
    “Di nulla. Ti riaccompagno fuori, così ti indico il sentiero giusto da seguire per il paese più vicino in cui trovare riparo per la notte”, decise, ma il giovane bracciante si scusò subito.
    “In verità… ecco… ho una confessione da fare. Preferirei non allontanarmi da questa tenuta, e credimi, ho un valido motivo per rimanere qui”.
    Nel giro di qualche minuto, la perplessità di Erika tornò a manifestarsi. Lo sconosciuto la prese da parte e si fece promettere, con le mani poggiate sulle esili spalle, che ciò che le avrebbe rivelato non sarebbe uscito fuori da quelle quattro mura incrostate di umidità.
    E si mostrò ancora più stupita quando scoprì che centrava un certo nobile di sua conoscenza.
    “Per caso sai leggere?” le domandò a bruciapelo, estraendo un foglio arrotolato come una pergamena dalla sacca da viaggio. “È la prova che sono in buona fede. Col senno di poi, il suo strano comportamento mi ha veramente preoccupato, perciò vorrei che ne svelassi il contenuto”.
    “Va bene. Vediamo…” se lo fece passare e lo aprì. Tenne sulle spine il ragazzo per il tempo che le occorse ad assimilare tutte le parole scritte, prima di leggere: “Gentili Signori e Signore, con il presente siete formalmente invitati alla festa di fidanzamento della Contessa Elinor e del nostro unico erede il Duca Xavern. Ulteriori e più dettagliate informazioni perverranno nei prossimi giorni”.
    “Ho capito. Si tratta di qualcosa di combinato, per questo motivo non se l’aspettava!” dedusse lui senza smettere di guardarla fisso.
    “Certo, è sicuramente così!” confermò Erika annuendo. Dopo aver visto i due amici e avere appurato quanto entrambi prendessero sul serio i sentimenti profondi e sinceri che provavano l’uno per l’altra, le sembrò un’assurdità vera e propria. Una grossa bugia. Un modo piuttosto perverso per incastrare il duca.
    “E quindi? Che proponi di fare?”.
    “Perché ti interessa?” ribatté sospettosa di fronte al suo sguardo acceso di curiosità.
    “Semplice. Ho un debito verso il mio padrone e questa mi pare l’occasione perfetta per saldarlo”, rispose con una semplicità disarmante. In qualche modo la colpì.
    “Per me invece è diverso… Non si tratta solo di amicizia, o di ricambiare un favore. Io ho il dovere di fare luce sul passato oscuro di mia madre, e in particolare-” si bloccò. Era confusa: perché improvvisamente stava conversando con un totale estraneo? Com’era possibile che, da quando lavorava alla villa, tutti riuscissero a estorcerle informazioni private così facilmente? Aprirsi l’avrebbe resa ancora più ingenua?
    “In particolare?” incalzò lui, piegando la testa di lato.
    Erika si schiarì la voce facendosi seria. “Niente. Una questione che non ti riguarda. Ecco la mia proposta: aspettare il momento propizio per parlarne direttamente con il tuo padrone. Fino ad allora conserva l’invito esattamente come lui ha detto. E approfitta per riposare: oltre che affamato, dovresti essere stanco, o sbaglio?” decise, chinando poi il capo, dopo aver consigliato questo al suo interlocutore senza guardarlo dritto negli occhi – che, a proposito, erano verdi come foglie rischiarate al sole. Quello sguardo fin troppo curioso la metteva a disagio.
    “Sì, hai ragione. Non è il caso che mi faccia vedere da Lord Xavern adesso. E anche se non me l’hai chiesto, dato che saremo complici, ci tengo a presentarmi: il mio nome è Owen”, lo disse in tutta tranquillità. Il gesto galante che seguì e che la fece arrossire – un delicato baciamano – la spiazzò, aveva osato questo senza smettere di studiarla. Si instaurò un contatto visivo imbarazzante e silenzioso, finché Erika non ritrasse velocemente la mano, finché non si girò prima che lui potesse accorgersi dello stato d’animo che l’avvolgeva in quel frangente, riprendendo il secchio abbandonato ai suoi piedi.
    Tra l’altro, non aveva mancato di notare che, fin dall’inizio, si erano dati del tu. Istintivamente.
    Sbuffò e scosse il capo come per scacciare una mosca fastidiosa senza l’uso delle mani.
    Il suo interlocutore era proprio sfacciato.



    E impulsivo fu anche il duca, in un certo senso. Per non palesare il proprio turbamento interiore alla marchesina, che l’aveva casualmente incrociato, constatato che si stavano cercando per godere della reciproca compagnia, la trascinò nella stanza più vicina senza proferire verbo. Fortunatamente questa era vuota e si sentiva profumo di pulito, segno che le cameriere avevano finito e se n’erano andate altrove. Xavern annullò la distanza tra loro e la strinse a sé. Shurei era sul punto di parlare, forse per chiedere il motivo di quello slancio, ma ogni parola finì soffocata nell’unione delle loro labbra.
    Si crogiolarono in un bacio intenso, da brividi, tanto coinvolgente che lei dovette per forza aggrapparsi alla sua schiena, per la sensazione di cadere all’indietro, le gambe molli come gelatine.
    Furono brividi quando lui tracciò una scia umida dal mento al collo, sempre tenendola tra le braccia, preferendo i sospiri alle frasi di circostanza, poiché a quel tocco caldo e sensuale non sfuggì nemmeno la generosa scollatura tracciata dal vestito. Il fiato caldo del giovane le solleticò la pelle lattea, mentre arrossiva per l’ardire dell’amato le guance bollivano, e lo stesso valeva per la fronte e le orecchie.
    Quell’incanto inaspettato e bellissimo in cui erano avvolti, però, era destinato a sfumare, quando Xavern si ritrasse con un sussulto e si disse che era solo un codardo.
    “Non è da te…” mormorò, “scostarti così bruscamente. Perché sei turbato?” si preoccupò Shurei.
    O cielo. Vorrebbe tanto risponderle, riferirle per filo e per segno ogni cosa, ma… ma nemmeno lui era a conoscenza di tutto.
    Si era trovato improvvisamente catapultato in una situazione dubbia e spiacevole, completamente all’oscuro di ciò che stavano davvero tramando alle sue spalle i suoi stessi familiari e non sapeva proprio come uscirne. Vedeva solo uno spiraglio, forse l’unico.
    Maledizione!” pensò, strizzando gli occhi per impotenza, a tratti tremante. “E se dovessi perderla?”.
    Anche se non la stava guardando, il suo timore, i suoi sentimenti, le sue priorità convergevano in un’unica direzione: lei. Ogni cosa bella era tutta per la dolce e apprensiva Shurei, ora al suo fianco, giustamente confusa e ignara di tali folli macchinazioni.
    “È successo qualcosa? Se non rispondi come faccio a capire?” si fece sentire di nuovo, poggiando una mano guantata sul braccio rigido del giovane duca.
    Dopo qualche istante in silenzio, lui prese un bel respiro profondo, si calmò e la sua voce, fortunatamente, non vacillò quando parlò.
    “Mi vedo costretto a congedarmi. Domani mattina parto, destinazione casa”.
    Lei trattenne il fiato per un momento, sperando non fosse una decisione presa per qualcosa di grave.
    “E posso sapere il motivo dell’imminente partenza?” lo interrogò, profondamente dispiaciuta e colta di sorpresa.



    “Dunque questo è il tuo giaciglio… Sicura che non ti dispiace se schiaccio un pisolino qui sopra?” s’informò. Il bracciante si era messo a sedere sopra due vecchi materassi disposti uno sopra l’altro, delle lenzuola apparentemente sfilacciate, dal tessuto ruvido ma quantomeno pulito, e un guanciale per nulla duro. Tutte queste cose formavano il letto di Erika, che annuì.
    “Finché non tramonta il sole. Quando sopraggiungeranno le ore del mio meritato riposo ci dormirò io”, tenne a precisare.
    “Senza di me?” scherzò, giusto per provocarla un po’.
    “Senza di te. Anche perché saprai arrangiarti da solo, con ciò che passa il convento…” puntualizzò la cameriera. “Anzi, se farai il bravo, più tardi ne parlerò con la governante: sicuramente non ti negherà un angolino dove accucciarti come un cane”, aggiunse candidamente.
    “Spiritosa”, replicò Owen, per nulla offeso.
    Conversarono così, per poi ridere del loro ironico scambio di battute.



    “Affari di famiglia. E in più devo risolvere un problema spinoso che è sorto in questi giorni”, decise che era meglio riferire vagamente piuttosto che mentire a sproposito.
    “Spero non sia nulla di grave…” si espresse solidale la marchesina, per poi trovarsi una mano avvolta nelle sue. Alzò lo sguardo per incrociare il suo, determinato. Xavern sembrava sul punto di confidarle un segreto, e infatti proseguì senza pause: “Ascolta, Shurei, prometti che starai tranquilla fino al mio ritorno. E inoltre, se dovessero trapelare delle voci strane su di me, qualsiasi informazione, ti prego di non credere a nulla. Non dubitare mai del fatto che ti amo, che per me esisti soltanto tu e nessun’altra prenderà il posto speciale che occupi nel mio cuore”.
    Allora, per avvalorare il suo discorso sentito, si sporse e la baciò. Shurei continuava a non comprendere la sua decisione tempestiva, mentre ricambiava il bacio, ma ebbe un’idea che forse avrebbe fatto bene a entrambi.
    “Va bene, ma a una condizione…” si espresse poi, quando fu libera di comunicare.
    Inspirò, espirò e infine sorrise, furba.
    “Ti aiuterò a preparare l’occorrente per il viaggio e poi a letto. Stanotte dormirai con me”.


    Continua…







    _______
    Noticine: Ritardo clamoroso e finale in sospeso che lascia aperte due porte. Non mi smentisco mai, yeee! XD
    In questo capitolo si scopre il contenuto della pergamena che mette ansia al tuo personaggio (ma quanto sono stata cattiva da 1 a 10? Chissà... XD) e viene presentata la new entry. Owen. Un nome proprio a caso, ma sento che mi divertirò a gestirlo, perché serviva uno che potesse tenere testa a Erika e penso che lui sia perfetto u.u
    Non sono adorabili tutti e quattro? *__*
    Ah! Stavolta niente prompt di partenza, ma va bene lo stesso, no? :) Tanto quelli sono occasionali...
    Come sempre, la storia è dedicata con tanto tanto tanto tanto tanto tanto affetto a Mary.
    Alla prossima! *spera non tra un anno*
     
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  7. Rinalamisteriosa
     
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    Attenzione! Solo per questo capitolo il raiting ha subìto un innalzamento da bollino aranciorosso (xD), nulla di troppo particolareggiato comunque >.< *corre a nascondersi per l'imbarazzo*

    Prompt: Incendio.





    Capitolo 7







    “Sei sicura?”.

    “Sì. Resta con me stanotte”.





    Dopo aver sussurrato soavemente le ultime parole, la marchesina Shurei poggiò il capo sul petto del giovane duca, chiudendo gli occhi e sorridendo piano quando ne percepì i battiti accelerati.
    Anche a lei batteva forte il cuore, lo sentiva palpitare più che mai. Scelse di fidarsi di lui perché aveva tutto da guadagnare: se Xavern le aveva parlato di un ritorno, anche ignorando il vero motivo della partenza del giorno successivo, di sicuro avrebbe fatto il possibile per mantenere la parola data.
    E se loro due si amavano davvero, proprio come credeva, sarebbe bastata una notte insieme per capire fino a che punto erano disposti a spingersi.
    Sarebbe bastato quello a dare loro la forza di sopportare la repentina lontananza prima del bramato ricongiungimento.
    In quanto a lui, la serrò in un delicato abbraccio, prendendo un’importante decisione, ossia di non nasconderle più nulla. Non se lo meritava.
    “D’accordo”, acconsentì. “In tal caso non è giusto che tu sappia una mezza verità: ti metterò al corrente di ciò che ho da poco scoperto, così spero mi aiuterai a sostenere questo peso che grava su di noi… Sul nostro futuro insieme”.
    Shurei sussultò di rimando.
    “È qualcosa di grave? Parla pure, ti ascolto”.
    Ottenuta la sua totale attenzione, Xavern parlò, sfogandosi sinceramente.



    *





    Erika aveva abbandonato gli alloggi della servitù a cuor leggero.
    La cameriera era passata, incredibilmente, dal provare indifferenza verso il nuovo arrivato a scoprirsi sua complice inconsapevole. Dopo era arrivato il senso di disagio per un contatto inaspettato e infine il sollievo malcelato. Grazie agli iniziali incoraggiamenti da parte della madre, che l’aveva spinta ad accettare quel lavoro ben retribuito presso il marchese, per quanto forte fosse la preoccupazione di Erika nei suoi riguardi l’aveva ascoltata ed era infine giunta in un posto nuovo che le stava facendo provare emozioni e sensazioni altrimenti estranee. A queste però si aggiungeva infido il tarlo del dubbio e del sospetto. Come poteva dimenticare il loro passato fatto di stenti? Questo le aveva insegnato molto facendole sviluppare una profonda sfiducia e diffidenza verso il genere maschile e non gliel’avrebbero soppressa facilmente, anzi era cresciuta in seguito alla rivelazione sconvolgente della donna più importante della sua vita.
    Era un aspetto più forte di lei, gli anni dell’adolescenza erano trascorsi così, evitando ogni contatto, guardando sospettosa chiunque osasse avvicinarsi a lei e alla madre, seppur con buone intenzioni (lo sapeva bene il medico che l’aveva presa sotto le sue cure). Ripensò con un sorriso nostalgico alle mille raccomandazioni che gli aveva rivolto prima di uscire dalla sua modesta casetta presso il villaggio sulle coste occidentali in cui si erano stabilite da cinque anni a quella parte.
    Era piccolissima in confronto alla ricca tenuta della famiglia di Shurei, ma confortevole e ne ricordava ogni minima cosa con affetto.
    A proposito di Shurei, chissà che cosa stava facendo… Avrebbe tenuto fede alla promessa parlando con il padre e informandolo delle sue decisioni in merito?
    Tuttavia pensò anche che forse era troppo impegnata a intrattenersi con Xavern per agire nell’immediato.
    “Non so perché, ma ho il brutto presentimento che quella faccenda sarà piuttosto spinosa…” rimuginò, proseguendo per la sua strada.
    Non conosceva quella contessa di nome Elinor, ma se credeva di rovinare in qualche modo i suoi amici avrebbe fatto i conti con lei. Owen aveva ragione: i debiti di riconoscenza andavano saldati.
    Evidentemente le sorprese non erano ancora finite, poiché la giovane Erika si ritrovò testimone di una discussione abbastanza animata tra tre persone oltre la porta di servizio. Allora si appiattì contro la parete vicina all’angolo più buio, per cercare di carpire quanto poteva della scena inusuale che si stava svolgendo giusto a pochi metri di distanza.
    C’era l’inflessibile governante che sembrava davvero fuori di sé dalla rabbia, non l’aveva ancora vista così livida, sembrava più spaventosa del solito mentre alzava la voce contro un uomo con la barbetta, che a quanto ricordava si occupava degli impianti di riscaldamento e della manutenzione del forno a legna. Lui era incredibilmente serio e stringeva i pugni, probabilmente in attesa che l’altra terminasse di urlargli contro per replicare dignitosamente. E infine c’era la cameriera con le lentiggini, che tentava con scarso successo di placare l’ira della prima donna.
    Tese le orecchie e dalla sua postazione riuscì finalmente a cogliere uno stralcio di conversazione, trattenendo il respiro per ascoltare meglio e ovviamente non farsi scoprire.
    “Suvvia, miss, non le sembra di esagerare? Certamente dopo questa ramanzina non commetterà più lo stesso errore…” lo giustificò la lentigginosa.
    “Non si tratta solo di un errore, per la miseria! È uno sconsiderato, manca di rispetto, persino il nostro padrone una volta ha ammesso di essere deluso del suo operato incostante!” sbottò irritata la signora.
    “Se è davvero così allora perché non sono stato ancora licenziato?!” ribatté con lo stesso tono lui.
    “Oh, ma ora vedrete, vedrete che quando andrò a fare rapporto il marchese ci penserà sicuramente! Spero non sia così clemente e bendisposto da concedere un’altra possibilità… Io non lo farei: che il cielo ci liberi della presenza di un simile individuo!” lo offese.
    “Sta forse insinuando che sono inutile?! Come si permette? Chi si crede di essere?” si difese fulminandola con uno sguardo ardente.
    “Non passerete alle maniere forti, spero”, mormorò nervosa la povera cameriera, unica lucciola in mezzo a due fuochi.
    Erika venne quasi tentata dall’idea di intervenire, di aiutare la collega a impedire – in caso – una rissa in piena regola, ma per fortuna non ce ne fu bisogno: la governante si diresse a passo di marcia verso le scale a chiocciola, borbottando imprecazioni a labbra strette dopo aver precisato senza timore che lui non era degno nemmeno di una tirata d’orecchie, tanto avrebbe continuato a fare di testa sua comunque.
    “Mi dispiace, caro. Forse il padrone sarà più comprensivo…” disse speranzosa l’altra, avvicinandosi abbastanza per mettergli una mano sulla spalla con fare sensibile.
    “Non importa. Avevo già progettato di andarmene e adesso ne ho un buon motivo: partirò questa notte stessa. Sei l’unica a cui lo sto dicendo, perciò vedi di essere discreta e di non farne parola con nessuno”.
    “Cooosa?!” si stupì.
    Da qui in poi i due avevano abbassato al minimo il tono delle loro voci ed Erika non riuscì più a sentire altro, ma in compenso vide con i suoi occhi che erano molto più in confidenza di quello che si aspettava fino a poco prima.
    Quando, dopo qualche minuto, rimase sola, tirò fuori un lungo sospiro, pensando: “Devo stare attenta, qua si innamorano tutti. Mi manca solo di sorprendere quella furia in gonnella, la tremenda governante, mentre fa gli occhi dolci a qualcuno. Sarebbe incredibile!” e abbandonò il suo nascondiglio sghignazzando.



    *





    La cena fu servita nell’ora in cui il sole tramontava per lasciare spazio alla sera.
    Ed era una serata tranquilla, almeno in apparenza nulla faceva presagire che ci sarebbero state nubi minacciose all’orizzonte.
    Tutti i nobili presenti sedevano al loro posto, tranquilli e composti presso il lungo tavolo rettangolare al centro della sala da pranzo adorna del nuovo lampadario con gocce di cristallo, di candelabri laccati in oro, di una ricca mobilia e di tende recanti lo stemma di famiglia; tutti tranne Erika, l’unica persona in piedi, pronta a servirli con estrema prudenza, stando attenta come di consueto a non commettere errori di alcun genere.
    Il capofamiglia era stato precedentemente informato riguardo alla tempestiva partenza dell’indomani del giovane ospite e non aveva avuto da obiettare, del resto l’altro era libero di muoversi quando e come preferiva. Inoltre aveva deciso di non mettere al corrente la figlia dello strano comportamento tenuto dietro la scrivania nel suo ufficio, ma Shurei doveva aver intuito qualcosa da sé, altrimenti come spiegarsi il fatto che spostasse continuamente i suoi occhi dal piatto in cui mangiava a Lord Xavern, persa in chissà quali pensieri o preoccupazioni?
    Alla fine della cena a base di antipasti misti, pollo, insalata fresca, pane, formaggio e frutta succosa, sembrò intenzionata a comunicare proprio con lui.
    “Figlia mia, sbaglio o intendi dirmi cosa ti passa per la testa?” la esortò, passandosi un fazzoletto sulle labbra contratte.
    “Avete colto nel segno, padre mio. Mi chiedevo se potessi aiutare il duca a organizzare l’occorrente per il viaggio. Concedetemi il vostro permesso, per favore”, confessò, rispettosa.
    “Non necessiti certo del mio permesso per una cosa del genere. Sentiti libera di fare ciò che vuoi…” concesse benevolo. Forse sua madre avrebbe avuto da ridire, ma per loro fortuna al momento la signora marchesa era invitata a cena presso un’amica di famiglia, che abitava in un grande casale a dieci chilometri dalla tenuta.
    “Mi avete educata così e vi ringrazio… Ah! Quasi dimenticavo: desidero che Erika diventi la mia cameriera personale a partire da questo preciso momento. Si occuperà di me e si accerterà che nulla turbi il mio riposo”.
    “Ne prenderò atto. Altro da dire?”.
    “No, per oggi nient’altro. Dei suoi esclusivi compiti e del suo compenso parleremo domani”, concluse soddisfatta, appoggiando le mani sul tavolo e indicando che voleva alzarsi. Xavern si levò per primo e come un bravo gentiluomo le tirò indietro la sedia.
    “Allora noi prendiamo congedo. Vi auguro una buona notte, padre!” lo salutò serenamente. “Erika, vorresti aiutarci?” si rivolse all’amica per non far insospettire sulle loro intenzioni notturne.
    “Finisco qui e vi raggiungo. Non mi piace lasciare un compito a metà”, rispose l’altra, iniziando a portar via i piatti sporchi.
    “Non c’è problema, intanto andremo a occuparci dei vestiti. Ti aspettiamo in camera”.


    Fu rispettosamente che Shurei baciò sulla guancia un po’ ispida il nobile padre e si volse accettando il braccio del duca, lasciandosi poi scortare fuori dalla sala da pranzo.
    Furono sguardi carichi di sottintesi quelli che i due innamorati si scambiarono mentre si dirigevano verso la stanza degli ospiti, dove avrebbero organizzato l’occorrente per il viaggio per poi spostarsi e dedicarsi esclusivamente a loro due soli, alla loro prima volta in intimità prima di separarsi per chissà quanti giorni.
    Erano sì tesi, ma anche impazienti, perciò non persero tempo.
    E poi, da quando lui si era sfogato a sufficienza e lei aveva ascoltato comprensiva il suo sfogo sincero, l’aveva realmente liberato di un macigno bello grosso, facendo sentire meglio il suo stomaco e rendendolo sempre più ottimista e convinto dei propri sentimenti.
    Prepararono i due bauli tra risate spontanee, coccole innocenti e baci rubati, almeno finché non sentirono bussare alla porta, si girarono e si accorsero dell’avvento della cameriera, che dispiaciuta si schiarì la voce.
    “Ho interrotto qualcosa? In tal caso mi scuso e torno indietro...” disse Erika chinando il capo.
    “Ora no, non preoccuparti”, chiarì Shurei chiudendo il primo baule, che era già pronto per essere trasportato giù nel calesse di Xavern. “Ascolta, ti dirò quello che devi fare…”.
    “Mentre voi due parlate, io scendo a chiamare qualcuno che se ne occupi”, le avvisò uscendo dalla stanza.
    “Come posso aiutarti, Shurei?” si offrì Erika.
    Shurei le afferrò una mano con le proprie. Era decisamente su di giri, pensò senza dirlo.
    “Semplice: vai nella mia camera e crea una certa atmosfera… Capisci, no? Vorrei che questa notte l’ambiente e tutto sia perfettamente romantico. Se controlli nel secondo cassetto interno dell’armadio dovrebbe esserci un contenitore di candele profumate. Ah! E poi-”.
    “Ehi! Ho capito cosa intendi, ma non state correndo un po’ troppo?” trasecolò allargando gli occhi nocciola e interrompendo quel fiume di parole.
    “Mia cara Erika, ti sarà tutto chiaro quando proverai i miei stessi sentimenti verso qualcuno… E io che speravo che quel tipo avesse già fatto colpo su di te!” si crucciò.
    L’altra ritrasse la mano di scatto, assottigliando gli occhi contrariata e portando le mani ai fianchi, proprio sui lacci ben stretti del grembiule.
    “Ma stai scherzando?! Quello? Non ho mai creduto nei colpi di fulmine e non cambierò certo idea per il primo a cui do da mangiare e un posto in cui passare la notte…” la informò.
    “Prima di cena ne ho parlato con Xavern. Lui lo trova simpatico, dice che è un giovane onesto e sa essere un lavoratore instancabile, non si lamenta mai e si adatta anche nelle difficoltà. Quindi perché tutto questo scetticismo?” si chiese guardando il soffitto. L’amica indietreggiò, restia a dare una risposta. Nella vita aveva imparato che non bisognava giudicare un libro dalla copertina, senza prima averlo letto. Aveva i suoi motivi e con il tempo, forse, si sarebbe potuta innamorare. Ma non subito. L’idea di fare giustizia per sua madre veniva prima di qualunque assurdo sentimentalismo.
    “Va bene essere tua amica, ma per il resto dammi tempo, ti prego…” si limitò a sussurrare.
    Si fissarono, finché Erika non distolse amareggiata lo sguardo per dirigersi anche lei verso la porta. Mentre se ne andava, aggiunse seria: “Vado a svolgere il primo compito ufficiale come tua cameriera personale. Ci vediamo fra poco, cara furbetta”.
    “Grazie di cuore!” esultò la marchesina, sfregando le mani e ghignando sorniona. “Per sdebitarmi farò da Cupido nella tua love story con Owen. Fidati di me!”.
    Socchiudendo la porta, Erika sospirò e scosse la testa, compatendo la sua amica decisamente troppo su di giri.


    Nel frattempo Xavern, mentre scendeva in cortile alla ricerca di qualcuno della servitù, sentì distintamente delle urla rabbiose provenire dalla sua sinistra.
    Incuriosito da un tale trambusto, si diresse a passo svelto verso l’ingresso del capannone, situato di fianco alla villa padronale, ma prima che riuscisse a entrarvi si scontrò proprio contro Owen, l’unico che mantenne l’equilibrio. Il nobile finì invece con il fondoschiena a terra e strinse i denti per soffocare un lamento. L’altro lo aiutò prontamente a rialzarsi, sostenendolo da un braccio, scusandosi per averlo investito e strabuzzando gli occhi verdi.
    “Chiedo perdono, signore, ma le ha udite quelle grida acute? Mi permetto di domandare umilmente il suo prezioso aiuto: una furia in gonnella mi insegue anche se non ho fatto niente di male, lo giuro sulla mia famiglia!” lo informò tempestivamente.
    “Furia in gonnella?” portò una mano sulla sua spalla, perplesso. “Per caso ti riferisci a-”.
    Un verso di vittoria fece sobbalzare entrambi.
    “Perfetto, duca Xavern, bravo! Ottimo lavoro! Continui a tener fermo quello straccione incosciente!” lo esortò la temibile governante, facendosi a passo di marcia sempre più vicina.
    “Sono innocente!” ribadì Owen, ma per sentirsi più sicuro si affrettò a nascondersi dietro Xavern, che lo schernì con una risata spontanea.
    “Suvvia, non c’è alcun bisogno di allarmarsi! Lasciate che mi occupi io di lui, va bene?” rassicurò entrambi, mettendo le mani avanti nel caso in cui avesse dovuto trattenere quella donna dall’accanirsi contro il suo amico. Owen annuì più volte.
    “Preferisco mille volte la punizione del mio padrone…” stette al gioco per avere salva la vita.
    Era ancora troppo giovane per morire di paura!
    E il diavolo in divisa femminile non poté fare altro che rassegnarsi dinnanzi al fatto che quel giorno c’erano stati dei veri cialtroni, che avevano scampato per miracolo un’esemplare lezione di buone maniere pur di non abbassare la cresta.


    “È spaventosa, nevvero?” sogghignò Xavern, dopo averla lasciata alle sue preziose faccende e ai suoi borbottii contrariati.
    “Altroché!” fu d’accordo il servitore. Poi sbadigliò in modo plateale, era ancora molto stanco nonostante avesse riposato per almeno un paio d’ore, a giudicare dal colore chiaroscuro del cielo post-tramonto. Forse due non erano state sufficienti, doveva recuperare il sonno dopo la fatica del viaggio a piedi – non poteva certo permettersi un mezzo di trasporto e non era il tipo da elemosinare passaggi in carretto. Preferiva essere autonomo, cavarsela da solo nelle situazioni più disparate, come il fatto di essersi accampato nella foresta e di aver dovuto restare di guardia per paura che si spegnesse il fuoco e le bestie feroci lo assalissero mentre riposava.
    E per scacciare l’imbarazzo per il gesto poco educato di prima, rivolse un altro sorriso grato all’amico benestante.
    “Posso fare qualcosa per sdebitarmi, milord?” domandò docilmente.
    “Sì. In effetti stavo cercando qualcuno disposto a portar giù il mio bagaglio, ma ti vedo stanco e mi rincresce un po’ chiederti questo favore…” rispose incerto.
    “Nah… troppo buono. Non c’è problema e il tempo per recuperare il sonno e le energie non mi mancherà!” acconsentì di buon grado. E lo fece davvero, senza mai lamentarsi mentre saliva, scendeva, scendeva ancora e poi risaliva.
    Il saliscendi procedette secondo le disposizioni del duca.
    Intanto si era fatto buio su tutta la tenuta.


    Erika, mentre preparava adeguatamente la stanza della marchesina per la sua notte speciale, si chiese se l’euforia dell’amica sarebbe rimasta anche nel caso in cui lui decidesse di rivelarle la vera ragione della sua partenza, se sapere di avere una possibile rivale in amore l’avrebbe fatta desistere… O forse aveva appreso già tutto ed era proprio per questo che intendeva andare ugualmente fino in fondo?
    Per quel che ne sapeva, per una donna doveva essere più dura una decisione simile, mentre per un uomo era sicuramente una gioia poter soddisfare i più bassi istinti, d’altronde i maschi sono i primi a cedere quando si tratta di desideri carnali.
    Non che fosse un’esperta in materia, ovviamente era stata la madre a farle supporre certe cose.
    Iniziò a sbadigliare per la stanchezza, dato che ogni giorno si svegliava molto presto e la severa governante pretendeva di controllare persino il loro tempo.
    Ah, già! Non doveva più preoccuparsi di quella, non avrebbe fatto altro che quello che Shurei desiderava.
    Tuttavia sperò che non la lasciasse spesso senza qualcosa da fare, visto e considerato il suo buon cuore.
    Non voleva assolutamente impigrirsi, non era affatto nella sua indole stare ferma.
    Poteva permettersi di dormire solamente di notte, alcune volte crollava in un baleno, bastava che appoggiasse la testa sul cuscino con la federa rattoppata in più punti e già partiva, altre volte non chiudeva gli occhi finché non trovava la giusta posizione oppure se pensava con nostalgia e affetto alla sua povera mammina.
    Stava per uscire dalla camera da letto, ma la comparsa dei tre la indusse a indietreggiare.
    Era entrata prima la sua amica, poi il suo vecchio compagno di giochi e infine il nuovo arrivato.
    Indirizzò uno sguardo perplesso al giovane che credeva già nel mondo di Orfeo, troppo stanco per gironzolare tranquillamente lungo i corridoi dell’enorme dimora. Si guardarono e lui, alla tacita domanda, con una risatina nervosa rispose subito: “Sono stato cacciato in malo modo dagli alloggi della servitù, ma il mio padrone mi ha già offerto un’altra sistemazione provvisoria”.
    “Ah. Bene. E quanto intendi fermarti?” s’informò senza un motivo preciso.
    “Fino all’indomani. Saremo tutti più tranquilli se lo accompagno a casa sua…” questo la portò a ricordare il fatto del debito tra Owen e Xavern e trovò la risposta più che giusta, perciò aggiunse solo, scherzando: “è un eufemismo definirla semplicemente casa. Stiamo parlando di un castello!”.
    Entrambi annuirono sorridendosi e a Shurei fecero tenerezza. Sarebbero stati una coppia carina e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea.
    “Vai a riposare anche tu, cara Erika. Per oggi hai fatto abbastanza. Ci penserà il nostro gentilissimo ospite a scortarti…” stabilì con un sospiro estasiato, prima di aggiungere: “Avete raggiunto un’intesa bellissima, a quanto vedo”.
    Erika colse nel suo sorriso sornione una nota inequivocabilmente maliziosa, ma non si lasciò fregare.
    “Accompagnata come se fossi una bambina? Stai scherzando, spero!” ribadì, facendo di tutto per apparire seccata e indifferente.
    “Eh, non si sa mai, amica mia”.
    “Shurei ha ragione. Non è prudente per una ragazza procedere al buio da sola, nemmeno nel luogo più sicuro del mondo. La presenza di Owen ti garantirà una maggiore protezione”, le diede manforte il duca ed Erika scoccò al complice di quella situazione assurda un’occhiata indignata.
    “Ehi!” sbottò irrigidendo le braccia. “Guardate che l’abbiamo capito, voi furbetti state morendo dalla voglia di rimanere soli soletti, vero? Siete voi i veri innamorati della storia, non noi!” li biasimò.
    “Direi che Erika ha centrato il bersaglio…” mormorò Owen, che fino a quel momento era rimasto fuori dalla conversazione, ma che in fondo si era imbarazzato proprio come la ragazza mora di fronte a quelle non tanto velate insinuazioni.
    “E sia. Accontentiamoli e lasciamoli soli. Vieni, Owen!” si congedò, spalancando la porta e svoltando rapida a sinistra.
    Owen indugiò un attimo per scusarsi umilmente con Shurei e Xavern, ma loro lo rassicurarono dicendo che ormai conoscevano Erika e che non era realmente arrabbiata.


    Allo scatto della maniglia che si chiudeva dietro il ragazzo, fu lei a prendere l’iniziativa, alzando le braccia per cingere le mani intorno alla nuca dell’amato e farlo così chinare alla sua altezza. In un attimo le loro labbra si congiunsero e si schiusero, le loro lingue giocarono e si stuzzicarono.
    Il bacio divenne via via più appassionato, mentre le dita si incastravano fra i capelli e lui le circondò la schiena inarcata per il piacere, attirandola maggiormente a sé.
    Entrambi si sentirono bruciare per il desiderio a lungo trattenuto, l’attesa non aveva fatto altro che alimentarlo e trasformarlo in un incendio.
    Quando si staccarono per riprendere fiato, erano consapevoli di dover mettere a tacere la ragione, per non gettare acqua su quel fuoco indomito e per lanciarsi senza paura in esso. Concentrarono momentaneamente la loro attenzione su un’altra questione.
    “Pensi davvero che non si sia offesa?” si chiese una Shurei ancora un po’ ansante. “Non mi ha dato nemmeno il tempo per ringraziarla di questo allestimento…” rivolse un’occhiata felice all’intera stanza che era stata preparata nel migliore dei modi, era anche meglio di ciò che aveva immaginato per loro due.
    Oltre ad aver posizionato le candele profumate e averle accese da qualche minuto, Erika aveva messo in ordine, cambiato le lenzuola, spostato il paravento per cambiarsi, invertito l’ordine dei tappeti, riposto i suoi indumenti puliti sulla sedia accanto all’armadio.
    “Non preoccuparti, lo farai domani…” le sussurrò dolcemente all’orecchio.
    “Non portare Owen con te, altrimenti io perderei l’occasione di essere il Cupido della situazione. Dovrò pur trovare un passatempo per accettare la tua… assenza al mio fianco, no?” si crogiolò nell’abbraccio possessivo del suo Xavern, chiudendo gli occhi e inebriandosi con il profumo buono delle sue vesti, con l’odore invitante della sua pelle.
    “Ne riparlerò con lui, ma non posso garantirti nulla. In fondo è anche un ragazzo ostinato”, promise vago, tuffandosi verso il collo niveo, baciandolo, riprendendo da dove si erano interrotti.


    Tornando indietro, Erika ebbe l’impressione di intravedere l’ombra di una persona che si faceva strada nell’oscurità del giardino con una torcia, ma la visione non durò che qualche istante.
    Si fermò in mezzo al corridoio, rivolta oltre le inferriate.
    “Mh? Cosa guardi?” la voce incuriosita di Owen la fece sussultare. Diede le spalle alla finestra e con un cenno perentorio intimò all’altro di stare in silenzio, così da poter sbirciare nuovamente fuori, però vi era solo l’ambiente esterno rischiarato appena dalla luce di una mezzaluna.
    Nessuna luce, nessun’ombra sospetta.
    “Allora? Hai visto qualcosa di strano?” ritentò lui.
    “Ero sicura di aver notato qualcuno che si allontanava nell’oscurità… Ma potrebbe essere solo una suggestione. O forse… E se quell’uomo stesse realizzando il suo proposito di fuggire?” rispose, più a se stessa che al giovane, ricordando di avere origliato la conversazione fra quei due «piccioncini» della servitù e mettendo così al corrente anche Owen di ciò che aveva udito in precedenza.
    “Ti piace spiare?” s’incuriosì.
    “No, affatto!” si sentì punta sul vivo. Poi la scorse di nuovo, quell’ombra viva, e sobbalzò accanto a lui. “Eccola! Adesso dovresti vederla anche tu!” sibilò indicandogliela.
    Owen assottigliò lo sguardo e le diede ragione. Doveva trattarsi di un uomo, che in effetti reggeva una torcia e che portava un peso sulle spalle, forse un fagotto. O era una faretra?
    Voleva vederci chiaro e dimenticò tutta la stanchezza che provava, pensando che passare all’azione fosse decisamente più eccitante di una bella dormita.
    “Ti va di scoprire cosa sta architettando quel tizio?” chiese alla cameriera, sveglio più che mai e pronto a scattare.
    “Effettivamente anche a me sembra sospetto… Va bene, usciamo, ma senza farci beccare!” convenne, avvertendolo. Il ragazzo sorrise in modo vispo e disarmante afferrandole gentilmente il polso e facendola irrigidire ancora di più.
    “Allora fai strada. Io sono nuovo del luogo e potrei perdermi”, disse ammiccante.


    “Cerca di non farti mettere le mani addosso da quella contessa, o giuro che commetterò un omicidio!” esclamò Shurei all’improvviso, nervosa, mentre gli sbottonava la camicia di seta bianca e organza.
    “Non preoccuparti. L’unica che mi interessa è qui davanti a me. L’unica che mi renderà il più felice e il più fortunato del mondo sarai sempre e soltanto tu”, le fece sapere Xavern rassicurante, sciogliendole lentamente i lacci che erano parte di quell’abito femminile.
    Quando ebbe tolto tutti i bottoni dalle asole, lei arpionò le sue manine delicate sulle spalle possenti al confronto e strinse, conficcandogli quasi le unghie oltre il tessuto leggero.
    “Per quanto belle, non mi accontenterò di queste parole, desidero che tu me le dimostra stanotte. Sappi che un qualunque rifiuto mi farebbe soffrire molto… Più del dolore che potrei provare! Sopporterei ogni male fisico pur di stare al tuo fianco!” gli confessò, con il cuore che galoppava impaziente e lo stomaco che faceva le capriole. Lo desiderava con tutta se stessa, ardentemente. E forse lesse lo stesso identico desiderio anche negli occhi di Xavern, perché lui la baciò di nuovo, aiutandola poi a disfarsi della camicia e a gettarla sul pavimento. Shurei fissò incantata il suo petto nudo prima di seguire con un dito le linee del torace, dei muscoli scolpiti dal lavoro dei campi – le aveva raccontato che si dilettava ad aiutare i braccianti, ogni tanto – e dalle esercitazioni di scherma.
    A un certo punto lui ridacchiò, e pensando che gli avesse fatto il solletico senza volerlo, la nobile arrossì.
    “Sei adorabile…” si limitò a commentare tranquillamente il duca. Tuttavia, dopo qualche secondo cambiò atteggiamento, si fece serio e prese possesso dei suoi fianchi. “Adesso però tocca a te togliere qualcosa”.
    La malizia di quella frase servì ad alimentare, se possibile, ancora di più il rossore sulle sue guance, ma Shurei realizzò che stava succedendo per davvero, che non si trattava di uno dei suoi sogni più arditi, e istintivamente, malgrado provasse ancora imbarazzo e pudore, guidò le sue mani nei punti giusti, finché l’elegante vestito non scivolò ai suoi piedi. Adesso le rimaneva soltanto il corpetto, la sottogonna e quegli indumenti solitamente celati a occhi indiscreti.


    “Sai… all’inizio anch’io temevo di perdermi, non avevo un buon senso dell’orientamento, specialmente al buio, ma per fortuna poi mi sono abituata”, confidò a Owen, preferendo intavolare una conversazione piuttosto che proseguire in un silenzio imbarazzante. La mano ruvida era ancora stretta attorno al suo polso sottile, e le trasmetteva una sensazione di calore e protezione che non smentiva affatto ciò che avevano sostenuto Shurei e Xavern. Erika però si ostinava ugualmente a camminare svelta, sempre due passi avanti a lui, a non fidarsi, a parte svelarsi un pochino con quella piccola confidenza non avrebbe detto altro su di sé.
    “Lo comprendo. È molto più semplice essere poveri, non trovi? Niente pregiudizi, niente ambizioni, niente etichette da seguire e patrimoni immensi da gestire. Si vive in case più piccole, ma confortevoli, e se con te c’è la compagnia giusta, anche dei tozzi di pane posso sembrare grandi banchetti da condividere insieme…” espresse la sua opinione Owen.
    Erika non poté che annuire, dato che aveva perfettamente ragione, comprendeva perfettamente quello stile di vita perché era stato anche il suo, ma un giorno tutto sarebbe cambiato.
    «L’unica ambizione a cui ispiro non è la ricchezza, ma la vendetta. Lo troverò e dopo essermi vendicata di quel maledetto bastardo, niente e nessuno potrà impedirmi di vivere una vita serena e di racimolare il necessario per far vivere me e mia madre non per forza come regine, ma almeno in modo dignitoso e salutare».
    Si sentì tirare il braccio e scoprì che Owen si era fermato.
    “E adesso cosa ti passa per la testa? Hai una faccia così scura…” s’interessò candidamente.
    Erika scosse velocemente il capo e fece una smorfia che voleva sembrare un sorriso.
    “Così scura? Davvero? Ma no, hai visto male! Eheh… Non perderti in quisquiglie simili, abbiamo un mistero da risolvere! Forza, andiamo avanti!” lo esortò, sperando di essere risultata convincente.
    Owen sospirò pazientemente e assecondò la sua strana collega, anche se per un attimo aveva avuto la sensazione che fosse lei più misteriosa rispetto al caso che si apprestavano a risolvere.


    Le sei candele profumate, accese per creare la giusta atmosfera, tenute come unica fonte di luce nella camera altrimenti buia, gettarono una luce ambrata e soffusa su di loro, creando intorno dei giochi d’ombra per nulla spaventosi.
    Brillavano tremule e forse fu questa magia, o forse il desiderio da giorni represso che si poteva leggere negli occhi vigili dei due innamorati, a rompere la barriera dell’autocontrollo, a lasciare che il senso del pudore li abbandonasse gradualmente, prede di una rivoluzionaria passione che infiammava ogni fibra dei loro corpi frementi e stretti in un abbraccio.
    Le poche vesti rimaste, ormai d’intralcio, superflue addosso a loro, finirono presto su un tappeto persiano finemente lavorato e circondato da frange, o intorno a esso – in verità non ci fecero caso –, indumenti sfilati da mani ansiose di esplorarsi e di accarezzarsi ovunque.
    Le labbra, calde e umide, baciavamo, succhiavano, mordevano senza ferire.
    Lei sospirò estasiata quando lui la prese in braccio, e una volta azzerata la distanza con il letto a baldacchino, Shurei si lasciò cadere sul materasso, ipnotizzandolo con un’occhiata impertinente che lo sorprese non poco, come se la timidezza della sua dolce metà avesse fatto a cambio con un’intrigante malizia.
    Ghignando con il medesimo sentimento, Xavern non si fece pregare, raggiungendola e stendendosi su un fianco. Entrambi poggiavano sopra lenzuola fresche e profumate di lavanda.
    Il duca cercò di imprimersi ogni particolare di quel corpo latteo, dalle linee morbide, dalle curve sinuose, dal petto formoso, sulle cui rotondità si era soffermato più a lungo, fino a far comparire sulle guance della sua marchesina un rossore dovuto alla soggezione.
    Forse un po’ intimorita dal suo sguardo, che la metteva a nudo più di quanto non fosse già e in un modo speciale, serrò le gambe e chiuse le braccia attorno a sé, in un abbraccio prudente.
    «Shurei…» prese un bel respiro e tentò di calmare i bollori, «se non sei sicura, possiamo fermarci qui. Lo capirei, è la prima volta…» mormorò.
    «Xavern, hai frainteso. In realtà…» disse, e si fermò solo un attimo per sciogliere un solo braccio e sfiorare con la mano le sue ciocche blu. «Io ho bisogno di te. Vorrei sentirti ovunque e ho pensato che… ecco… che coprendomi ti avrei provocato una reazione e mi saresti saltato addosso per impedire che mi coprissi di più!» confessò, arrossendo ulteriormente per il pensiero impudico.
    Forse aveva letto troppi romanzi rosa, decisamente, però lui sembrava divertito da tutto questo, dal coraggio della donnina che gli aveva rubato il cuore.
    «Dunque vuoi che ti salti addosso…» il suo sussurro si era fatto volutamente più sensuale, mentre si spostava per stringergli delicatamente i polsi con la mano e – proprio come lei l’aveva guidato prima – accompagnare le braccia ai lati della testa. «Allora spero ti piaccia la mia prossima mossa».
    Tuffò la testa verso ciò che prima aveva catturato maggiormente la sua attenzione, e con piccoli baci tracciò una scia umida intorno alle mammelle.
    Lei provò diversi brividi che le attraversarono la schiena come scariche elettriche e chiuse gli occhi, godendo quel contatto così bollente e sussultando appena lui leccò i capezzoli, prima l’uno poi l’altro, fino a renderli turgidi, mugolando quando li mordicchiò piano.
    Quei gesti le piacevano da impazzire.
    Si stavano eccitando entrambi, lo sentivano.
    Ogni resistenza rimasta rischiava di crollare come una torre di carte, sarebbe bastato un soffio di vento per buttarla giù, lo sapevano bene.
    Non sembrava tuttavia importare né a Shurei, che lo esortò tra un mugolio e l’altro a continuare, a non fermarsi, né a Xavern, che liberò la mano sinistra e lasciò che scivolasse verso il basso, fino alle cosce lisce e morbide, e che risalisse con lentezza esasperante verso la parte proibita, la parte più celata e intima di una donna, insinuandosi dove nessuno l’aveva mai nemmeno sfiorata.


    “Il punto in cui l’abbiamo visto prima era questo?” si chiese Owen, mantenendo basso il tono della voce e scrutando intorno con l’ausilio di una torcia recuperata prima di uscire in giardino.
    “Sì. Sembra che nel frattempo se la sia svignata. Era prevedibile che non sarebbe rimasto fermo…” sbuffò Erika incrociando le braccia al petto, non solo per la noia ma anche per cercare di ripararsi un po’ dall’aria fresca della notte. La sua divisa era sprovvista di mantella, purtroppo.
    “Siamo stati avventati. E se si accorgesse che siamo scesi qui apposta per lui?” si preoccupò poi, percependo fruscii sospetti, che non parevano soltanto foglie mosse dal vento, più una specie di crepitio lontano. E anche qualcos’altro. Annusò, inspirò con forza e comprese, sgranando impensierita gli occhi.
    “Speriamo di no. Dai, forza, proviamo ad andare da quella parte!” mormorò concitato, suggerendo una direzione.
    “No… Aspetta!” lo trattenne dalla manica. “Owen, ho il forte sospetto che sia stato appiccato un fuoco, non molto distante da qui”, notò in lui un lieve scetticismo e soggiunse: “Usa meglio il tuo naso se non mi credi!”.
    Ed effettivamente sì, sentì puzza di legna bruciata, un odore pungente e familiare. Possibile che quello stesse ancora lavorando nonostante le dimissioni forzate?
    No.
    Non era questo.
    Ciò che i due giovani ignoravano, in realtà, era che non si trattava semplicemente di un dispetto, né di una forma di vendetta personale.
    Non era un’azione che partiva direttamente dall’ex addetto al riscaldamento nell’intera proprietà, ma faceva parte di un piano preciso, studiato nei minimi dettagli, che l’uomo stava mettendo in atto per conto di qualcun altro, un influente personaggio che l’aveva assunto e pagato profumatamente.
    Il suo vero padrone non poteva ancora agire direttamente, perciò si affidava a insospettabili complici e spie entrati direttamente al servizio del padre di Shurei.
    “Il barone verrà accontentato come d’accordo…” si disse l’uomo con la barbetta, emettendo una risata bassa da squilibrato. “E non mi pento di nulla! Questi ricchi e quella bisbetica governante da quattro soldi la pagheranno, adesso!”.
    Si voltò ad osservare, con un luccichio folle negli occhi cupi, il falò che aveva creato con dei covoni di paglia e tutti i rametti secchi raccolti in precedenza, ammucchiati in cerchio e da cui saliva una fiamma crepitante. Poi estrasse dalla faretra che aveva fissato sulla schiena la prima freccia, un’arma rudimentale modificata per accendersi e per bruciare tutto ciò che colpiva. Una volta catturato il fuoco, raccolse l’arco da terra, lo imbracciò, si posizionò in modo tale da prendere la mira e lanciò il dardo infuocato nella notte. Questi descrisse un percorso semiconcentrico in aria prima di abbattersi sul tetto spiovente del capanno situato proprio accanto alle scuderie.
    Ripeté la stessa azione con altre due frecce, e stavolta i bersagli furono la capannina che aveva occupato egli stesso, ormai vuota, e una finestra a caso nel piano più basso del palazzo padronale. Prima di passare al quarto obiettivo, due voci lo indussero a girarsi di scatto. Sicuramente richiamati dalla luce del falò e dal sibilo delle frecce in volo, un ragazzo e una ragazza lo fissavano sconvolti.
    Lei l’aveva già intravista in giro per la tenuta, era una cameriera assunta da qualche settimana, mentre lui non lo conosceva. Poco importava. Incurante delle frasi che quegli spettatori inattesi si scambiavano tra loro, preparò con calma il quarto dardo infuocato e lo scagliò verso il piano più alto degli alloggi della servitù, prima di fuggire via, accompagnando la sua corsa con l’ennesima risata folle e un avvertimento pronunciato ad alta voce: “E questo è solo l’inizio! Preparatevi: la vostra principessina viziata non dormirà più sogni tranquilli! Ahahah!”.
    Dopodiché si accorse che solo il ragazzo si era lanciato seriamente a inseguirlo, mentre l’altra si stava dirigendo rapidamente, tenendosi la gonna in modo da non inciampare, nella direzione opposta alla loro, probabilmente per svegliare qualcuno che potesse dare l’allarme generale.
    Piccoli incendi iniziarono a divampare in quei determinati punti e in poco tempo sarebbe cresciuti a vista d’occhio, a causa della presenza di travi o di altri materiali in legno o infiammabili.
    Non sono mica uno sprovveduto…” pensò tronfio e soddisfatto di sé, in netto vantaggio rispetto a Owen. “E non mi farò catturare facilmente dal primo che capita!”.



    *





    Shurei nella vita non aveva mai provato un piacere così intenso, lui aveva continuato a stuzzicare la sua intimità e intanto la preparava al momento fatidico.
    Accaldata, non solo in viso ma in ogni parte del corpo su cui lui era passato, lo pregò con rinnovato ardore di mettere fine alla tortura e di unirsi a lei.
    E siccome i loro desideri coincidevano alla perfezione, Xavern decise finalmente di accontentarla.
    Prima aveva passato le sue dita, strumenti di tortura per iniziarla ai piaceri del sesso, sulla punta della lingua; poi si era posizionato tra le sue gambe, sovrastandola e dandole così una chiara visione della sua virilità. Quasi si imbambolò a fissarlo e trattenne il fiato prima che lui si chinasse abbastanza per far combaciare le loro labbra in un bacio che di certo non le avrebbe permesso di respirare tanto presto.
    Ormai spogliati di ogni freno inibitore, i corpi voluttuosi, l’uno sopra l’altra, aderivano a pelle ed emanavano un calore indescrivibile, potevano dominare l’incendio interiore soltanto appagando il bisogno vorace di amarsi fino in fondo.
    Quando lui si staccò, ansimante come lei, biascicò un debole “Non si torna più indietro, ormai”, che però risuonò forte e chiaro in loro, prima di risollevare il busto coi gomiti, sollevare il capo e spingere cauto il bacino contro il bassoventre della sua amante, che percepì solamente una leggera pressione.
    Con la seconda spinta però lei sgranò gli occhi violetti, resi languidi dal desiderio.
    La terza la fece sussultare, ma anche se lui stava lottando con tutto se stesso per essere più delicato possibile, alla quarta avvertì il dolore.
    E la quinta, più decisa e brusca rispetto alle precedenti, fu seguita da un gemito femminile soffocato nel palmo della mano e da una specie di grugnito soddisfatto.
    Shurei capì di aver appena perduto la sua verginità e si mise a piangere, un po’ per quella sofferenza fisica e un po’ per la gioia che era stato proprio Xavern a farle provare per la prima volta questa esperienza incredibile.
    Non si sarebbe mai concessa ad altri, voleva solo lui, lui e nessun altro.
    Udendo i suoi singhiozzi, il duca ritornò in sé, riaprì gli occhi spalancandoli e non osò muoversi da lei, in lei, piuttosto riavvicinò il proprio viso a quello in lacrime della sua marchesina per baciarle le lacrime, in modo premuroso e gentile, per farsi perdonare tutto.
    Infatti mormorò le sue più sentite scuse e lei scosse il capo di rimando.
    “Non scusarti, amore mio. Questo non cambia nulla. Io ti amo davvero, sempre di più”, assicurò con dolcezza.
    “Avrei potuto essere più gentile, ma… Cielo! Sono così pazzo di te!” mormorò tra i denti.
    “E allora non fermarti!” lo spronò, sorridendo dimentica del dolore interno – quello sarebbe passato presto – e accarezzandogli una guancia. “Desidero esser folle assieme a te. Continuiamo fino allo sfinimento e crolliamo non solo addormentati, ma anche appagati e felici!” gli sussurrò a un soffio dalle labbra, che si riappropriarono delle sue, che le donarono l’ennesimo appassionato contatto.
    Si cinsero come magneti con le braccia.
    Avevano tutta l’intenzione di riprendere da dove si erano interrotti, di muoversi allo stesso ritmo in un’ansante frenesia reciproca, di far risuonare l’eco di baci che erano come una droga, di soffocare altri gemiti e di raggiungere l’appagamento finale, ma il rintocco martellante di una campana li colpì più di una secchiata d’acqua gelida.
    Era giunto così inaspettato che si fissarono paralizzati, con la stessa sensazione di essere stati colti in flagrante, come se qualcuno avesse spalancato la porta e li avesse sorpresi in una posizione inequivocabile.
    “Che… Che succede?” domandò incerto Xavern, il primo a rompere il ghiaccio mentre il rumore solenne non accennava a fermarsi. Lei si morse il labbro inferiore, dispiaciuta e immensamente delusa, consapevole di ciò che realmente significasse quel continuo rimbombo.
    “Succede che devi affrettarti e tornare nella tua stanza prima che scoprano che è vuota”, dichiarò in tono incolore, come se non fosse lei a parlare, controllando il respiro.
    “Questo è un allarme. Significa che c’è un grave problema nella tenuta di mio padre, altrimenti non avrebbe suonato invano. Si sveglieranno tutti”, lo informò senza troppi giri di parole.
    Allora si separarono a malincuore.
    Calò di nuovo il gelo, la delusione e lo sconcerto.
    La bolla romantica in cui si erano isolati dal resto del mondo era scoppiata a causa di un ignoto pericolo.
    Cosa diavolo era accaduto?


    Continua…
     
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